L’Italia è il motore dei grandi gruppi globali

20 Novembre 2020
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Piazza Affari vanta una serie di titoli coinvolti direttamente o indirettamente nella transizione energetica. Titoli riconducibili non solo alle utilities, ma anche ad aziende di grandi, medie e piccole dimensioni che operano in settori diversi da quello energetico. Molte di queste imprese, dopo aver tentennato negli investimenti destinati all’innovazione, possono finalmente provare a colmare il gap accumulato nel corso degli anni. Imboccando con decisione la strada dell’innovazione, e grazie alla loro expertise unica, potrebbero tornare competitive, forti di un business che potrebbe diventare più sostenibile.

“Il trend di fondo rimane quello visto negli ultimi mesi e che durerà probabilmente 15-20 anni: uno scenario fatto di realtà magari anche obbligate ad investire in tecnologia e che continuano a destinare risorse alla ricerca e allo sviluppo, e altre invece più esitanti che però rischiano di essere sorpassate nel loro modello di business” commenta Massimo Trabattoni, Head of Italian Equity.

In questo contesto spiccano società medio-piccole, sia quotate che non, che evidenziano un DNA più flessibile e con spiccate capacità di adattamento, che sono state capaci di conquistare sul campo fette di mercato sempre più rilevanti.

Per tutte le altre aziende, la grossa sfida è intercettare il cambiamento evitando investimenti che appaiono già superati, soprattutto in ottica sostenibile.

“Non tutti sanno che il nostro Paese è molto forte nel packaging” racconta l’Head of Italian Equity “dove l’Italia è leader globale, e nella farmaceutica, soprattutto come fornitori di qualità delle grandi compagnie mondiali della salute. Inoltre nella filiera della componentistica automotive, nonostante il continuo calo della produzione in Italia del settore auto, esistono aziende specializzate che riforniscono le grandi industrie automobilistiche mondiali” continua Trabattoni. “E’ invece noto a tutti il gusto italiano per il lusso e per il food”.

Cosa significa tutto ciò? Che l’Italia è da sempre in grado di elaborare idee innovative e di cullare start up illuminate, ma molto spesso si trova in difficoltà a sostenere questi progetti che richiedono in molti casi investimenti ingenti: a titolo di esempio basti pensare al tema della conservazione per l’esportazione nel settore alimentare che richiede un grande sforzo in termini di risorse finanziarie.

La capacità di innovazione, grazie anche agli elevati standard qualitativi delle università italiane (basti ricordare l’alto numero di invenzioni in cui figura il nome di almeno un italiano) è dunque una costante, ma ciò che spesso manca è proprio il supporto finanziario a questa attitudine a innovare.

“Non possono essere di certo i fondi comuni di investimento tradizionali il giusto veicolo per trasferire le risorse all’economia reale perché non rispecchiano un orizzonte temporale di medio termine. Sono indispensabili capitali pazienti, che devono accompagnare tutta la fase di crescita del progetto, permettendone il pieno sviluppo al fine di capitalizzare al meglio l’idea”, puntualizza Trabattoni, che sottolinea come perdere tempo prezioso per cercare i capitali significhi sprecare il vantaggio competitivo.

In ogni caso, incrociando le opportunità che si intravedono nei vari settori e la capacità di riuscire a catturarle, “il bicchiere risulta mezzo pieno”. Anche perché, in termini di rivalutazione, una parte del mercato ha già espresso il suo meglio negli ultimi anni (e questo non vale solo per Piazza Affari), mentre un’altra parte sta iniziando a beneficiare di tutti questi cambiamenti, ma non incorpora nelle attuali valutazioni tutte le potenzialità.

Oggi l’Italia è chiamata a confermare il suo elevato standard qualitativo nella manifattura come miglior fornitore dei grandi gruppi globali e presenta tutte le credenziali per riuscirci”, conclude l’Head of Italian Equity.

Intervista a Massimo Trabattoni, Head of Italian Equity.

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