Da inizio anno tutti i principali indici azionari hanno conseguito performance positive: al momento in cui scriviamo, nel mercato italiano il Ftse Mib sta guadagnando il +3,1% a febbraio (+16,2% YtD), il Ftse Mid Cap +2,7% (+12,8% YtD) ed il Ftse Small Cap +1,5% (vs +8,2% YtD). A livello globale, lo Stoxx Europe 600 sta realizzando il +2,4% a febbraio (+9,3% YtD), l’S&P 500 -1,3% (+4,8% YtD) ed il Nasdaq -0,3% (vs +10,5% YtD).
La sovraperformance del Ftse Mib da inizio anno è da attribuire al sovrappeso della componente di titoli finanziari al suo interno, che hanno riportato risultati annuali molto forti grazie all’impatto positivo che il rialzo dei tassi ha avuto sul loro margine di interesse in questa prima fase del ciclo economico. In aggiunta a tale dinamica, che è inevitabilmente
destinata a normalizzarsi nel corso dei prossimi mesi, il settore bancario ha anche saputo fornire un outlook credibile sul 2023 in termini di gestione dei costi e di rinnovata solidità patrimoniale; in particolare, vediamo buone opportunità prospettiche nel segmento degli asset gatherer (i.e. operatori del risparmio gestito) che non solo beneficia dell’aumento dei tassi a livello di margine netto di interesse, ma anche della recente ripresa dei mercati, che ne aumenta le masse gestite e di conseguenza la componente commissionale dei ricavi.
Le mid e le small cap italiane continuano a sottoperformare le large cap principalmente perché le prime ancora risentono dei pesanti deflussi subiti nel 2022. L’interesse da parte degli investitori istituzionali esteri potrebbe riaccendersi soprattutto se vi fosse una migliore visibilità sulla tenuta del ciclo economico nel medio/lungo periodo, vista la significativa correlazione che le piccole e medie imprese tendono ad esibire con l’andamento del contesto macroeconomico. Un primo segnale incoraggiante proviene da una situazione politica almeno apparentemente più stabile, come confermato dalle recenti elezioni regionali.
Da qui alle prossime settimane l’interesse della comunità finanziaria è ancora rivolto alla fase finale della earning season, in occasione della quale le società rendicontano i risultati conseguiti nell’anno appena conclusosi e danno indicazioni sulle loro aspettative per il 2023. La significativa revisione al ribasso delle stime del consensus per tutti i settori (eccetto i finanziari) alla fine dello scorso anno offrirà maggiori probabilità che le società battano le stime su fatturato e margini.
Gli investitori valutano la credibilità della traiettoria di crescita dei ricavi esibita dalle aziende al fine di cogliere eventuali segni di rallentamento della domanda dei consumatori all’interno dei mercati e delle geografie di riferimento. Ma il focus è soprattutto sulla prospettiva di tenuta o sull’eventualità di espansione dei margini di profittabilità nel 2023. Infatti da una parte abbiamo assistito ad un recente ritracciamento dei costi dell’energia e ad un allentamento delle tensioni lato supply chain/logistica (fondamentali per il mondo dei semiconduttori e della componentistica trasversale a tutti i settori) in seguito alla riapertura dei confini cinesi; dall’altra il persistere del conflitto in Ucraina riduce la visibilità sul contesto macroeconomico, oltre a mantenere i costi di molte materie prime al di sopra della loro media degli ultimi anni.
Un ulteriore tema rilevante in sede di reporting e che continuerà ad interessare da vicino il mondo corporate è il livello significativamente più elevato dei tassi d’interesse anche per il 2023, al fine di combattere un’inflazione dimostratasi particolarmente persistente anche se in fase di decelerazione perlomeno negli Stati Uniti. Il mercato obbligazionario nelle ultime settimane ha ulteriormente rivisto al ribasso le probabilità che il ciclo di rialzo dei tassi si interrompa prima del 2024, motivo per cui il livello dell’inversione della curva dei tassi americana 2Y/10Y ha raggiunto i massimi da 50 anni, il che storicamente è spesso stato interpretato come un segnale predittivo di una recessione a breve.
Questo movimento ha ulteriormente acuito la differenza di aspettative tra il mondo obbligazionario, che sta già scontando un imminente rallentamento dell’economia, e quello azionario, che potrebbe vedere in una reporting season convincente un ulteriore elemento a supporto della rivalutazione dei multipli cui stiamo assistendo da inizio anno, in aggiunta alla politica monetaria ormai percepita come meno aggressiva almeno in America.
In questo contesto la nostra attività di stock picking nell’azionario italiano è sempre più focalizzata sulla selezione di titoli che, dopo la pesante correzione subita nel 2022 per dinamiche per lo più macroeconomiche, sono posizionati in modo da beneficiare della fase di rerating dei multipli che sembra prospettarsi da qui ai prossimi mesi: si tratta di società di qualità, con buoni fondamentali, pricing power e leader nei rispettivi settori di appartenenza. Il mercato italiano ha le caratteristiche ideali per questa accorta attività di analisi fondamentale, dal momento che il tessuto imprenditoriale del paese è ricco di società con una leadership indiscussa (anche globale) all’interno della nicchia di mercato in cui operano.
Commento a cura di Massimo Trabattoni, Head of Italian Equity.
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