I numeri hanno dimostrato quanto il 2018 sia stato un anno complicato per i gestori attivi e per la generazione di alpha. Il gestore tradizionale infatti si è sempre affidato per la creazione di valore agli strumenti classici della valutazione aziendale, prediligendo nel confronto fra due società, quella finanziariamente più stabile, con una migliore valutazione e con delle più rosee prospettive di crescita.
E’ questa la filosofia di lavoro in cui crediamo fermamente e che riteniamo, per quanto possa in determinate fasi di mercato soffrire, essere vincente nel lungo periodo.
L’applicazione di questi principi nell’investimento all’interno del mercato italiano ha portato negli anni alla generazione di alpha: il portafoglio vincente era quello costituito da titoli lunghi su qualche selezionata large cap in grado di sovraperformare in maniera sostanziale il listino principale e da posizioni su small cap le quali, qualora il gestore fosse riuscito a scegliere le storie vincenti, permettevano di realizzare grandi profitti. Le small infatti per la loro natura dimensionale hanno davanti crescite che difficilmente una large può pareggiare.
Tuttavia, nell’ultimo anno e mezzo sui mercati abbiamo assistito ad un cambio di paradigma: per la prima volta dopo diversi anni, le small cap hanno sottoperformato l’universo delle large cap. Due sono i motivi principali di tale movimento: uno è il maggior peso degli strumenti automatici e passivi negli scambi sui mercati azionari e l’altro le alte valutazioni. Questa tipologia di prodotti, che seleziona le azioni in base al momentum e quindi ha bisogno di entrare ed uscire velocemente dagli investimenti, predilige l’acquisto o la vendita di indici e quindi trova nella liquidità delle large cap la caratteristica fondamentale per le proprie scelte di investimento. I movimenti dei prezzi pertanto vengono influenzati dalla logica di questa enorme quantità di flussi, specialmente nelle fasi di rialzo dove le large cap, uniche target possibili di questi strumenti, sovraperformano il resto del mercato.
Quanto si può osservare è che nel 2018 le small non solo hanno sottoperformato nei momenti iniziali di rialzo – come spiegato qui sopra – ma anche nella fase di discesa dei mercati. In questo caso la ragione deve essere individuata nelle valutazioni stellari che il segmento aveva raggiunto sia a livello globale che a livello nazionale (nel caso italiano la bolla PIR aveva infatti contribuito all’espansione talvolta irragionevole dei multipli). La correzione dei mercati dell’anno passato però ha rettificato le valutazioni del mondo small andando anche oltre quanto fosse lecito. Riteniamo pertanto che, qualora dovessimo andar incontro ad uno storno dei mercati, le small cap dovrebbero sovraperformare le azioni del listino principale e di conseguenza permettere ai gestori tradizionali di creare valore.
A conclusione, suggeriamo sia di rimanere esposti sulla parte più liquida, restando però coperti tramite put, sia di continuare a selezionare nell’universo small cap storie con buone opportunità di crescita.
Intervista a Massimo Trabattoni, Head of Italian Equity.