“Sommario delle previsioni delle case di ricerca per il 2021. SP 500 in rialzo del 10- 15 per cento. Treasury decennale tra 1 e 1.50. Dollaro più basso. Inflazione più alta. Le banche centrali faranno in modo che non succeda niente di brutto. Vi abbiamo risparmiato la lettura di 10mila pagine”.
“Sommario delle previsioni delle case di ricerca per il 2021. SP 500 in rialzo del 10- 15 per cento. Treasury decennale tra 1 e 1.50. Dollaro più basso. Inflazione più alta. Le banche centrali faranno in modo che non succeda niente di brutto. Vi abbiamo risparmiato la lettura di 10mila pagine”.
Con il suo consueto atteggiamento irriverente e polemico, Zerohedge sintetizza così, su Twitter, l’ultima edizione di quella sorta di almanacchi dell’anno venturo che le grandi case pubblicano tradizionalmente tra la fine di novembre e l’ inizio di dicembre. Si tratta in effetti spesso, come abbiamo avuto modo di scrivere negli anni passati, di sontuose strenne che, più che descrivere il futuro, fotografano (in genere molto bene) il presente. Quando il futuro arriva sul serio, già nei primi giorni di gennaio, queste pubblicazioni appaiono quasi immediatamente sbiadite e superate.
Quest’anno però è diverso, per due motivi. Il primo è che le previsioni sono praticamente le stesse per tutti. Di solito, se non altro per farsi notare, c’è sempre qualcuno che osa cantare fuori dal coro. Altri, sempre per conquistare l’attenzione del povero lettore frastornato, producono stime dai colori forti, tutte negative o tutte positive. Questa volta invece siamo tutti allineati e non a caso. In una logica emergenziale, da cui non si riesce a uscire, i mercati sono ormai un braccio esecutivo delle politiche monetarie e per discostarsi dal percorso indicato occorre pensare che queste politiche falliranno o provocheranno effetti collaterali particolarmente spiacevoli. Questo è sempre possibile, naturalmente, ma lo è molto meno nel primo anno di una ripresa ciclica, quando le priorità sono chiare e la volontà di realizzarle è forte. Se poi il primo anno di ripresa ciclica viene a coincidere con il primo anno di una nuova amministrazione americana, tutto diventa ancora più semplice. Tutte le amministrazioni partono di slancio e realizzano nel primo anno più di quello che riusciranno a fare nei tre anni successivi. È il tempo della luna di miele.
Certo, anche nel 2021 sentiremo ogni tanto parlare di double dip, di pericoli di inflazione e di rialzo dei tassi. Sono i classici temi su cui pessimisti e dubbiosi si concentrano nel primo anno di ripresa. Questa volta, oltre agli argomenti consueti, ci verranno ricordate anche le elevate quotazioni di azioni e bond da cui la ripresa si troverà a partire. Tutti temi interessanti, certo, ma prematuri per il 2021. Per questo le correzioni che vedremo saranno in realtà occasioni di acquisto per i ritardatari che si presentano al nuovo anno scarichi di rischio.
Se tutto andrà bene, tuttavia, se cioè la ripresa procederà come previsto, già fra un anno a quest’epoca almeno una delle preoccupazioni dei timorosi andrà presa in considerazione. Non perché sarà ancora un pericolo in sé, ma perché qualcuno, la solita Germania, potrebbe proclamarlo tale. Parliamo del debito, privato e pubblico, ma soprattutto pubblico.
Sappiamo che il mondo, già prima di Covid, aveva raggiunto un livello di indebitamento complessivo, poco più di tre volte il Pil, senza precedenti in tempo di pace. La risposta alla pandemia, sia per gli ammortizzatori automatici sia per le nuove spese decise per arginare la crisi, porterà il debito/ Pil del mondo al 365 per cento (stime IIF) alla fine del 2020. In un solo anno, dunque, 35 punti di debito/Pil in più ai quali ha contribuito, a differenza delle esperienze belliche del secolo scorso, anche il settore privato.
Deutsche Bank ha calcolato l’incremento del debito nei singoli paesi dal quarto trimestre del 2019 al terzo trimestre di quest’anno. Colpisce il Canada, con un aumento complessivo di quasi 80 punti. Seguono Giappone e Stati Uniti, con circa 50 punti. UK è poco sotto i 40, mentre la Cina è poco sopra i 30. L’eurozona è nel suo complesso poco sotto i 30. L’Italia, segniamocelo, è a 20.
Il debito continuerà a crescere nel corso del 2021, soprattutto per effetto delle politiche fiscali ancora espansive. Se già oggi, in Germania e Olanda, si alzano voci (per ora a futura memoria) per chiedere un piano di rientro dal debito, possiamo immaginare che fra un anno, a ripresa avviata e con la Germania più sicura di sé per l’uscita di scena di Trump e per l’attenuazione del processo di deglobalizzazione, il tema, in Europa, tornerà attuale. Per quell’epoca la Germania avrà un nuovo cancelliere e una nuova coalizione nero-verde che dichiarerà chiusa la libera uscita legata alla pandemia e cercherà di ripristinare l’ordine nel continente.
Sappiamo quello che è successo la recessione scorsa, quella del 2008. Quando la Germania ha deciso che i conti andavano messi a posto (in un momento, tra l’altro, di euro forte) mezza Europa è tornata in recessione. Questa volta si starà un po’ più attenti, ma il richiamo dell’austerità (anche come strumento di controllo politico) si farà sentire.
Anche questa volta, molto probabilmente, l’America sarà su un pianeta diverso. La Brookings Institution ha appena tenuto un seminario dal titolo significativo (Suggerimenti di politica fiscale per Joe Biden e Congresso). Ospiti, tra gli altri, Summers, Bernanke, Rogoff e Blanchard, mainstream purissimo con molta influenza, in particolare Summers, sulle scelte della futura amministrazione.
Provando a fare una sintesi in stile Zerohedge, c’è stato accordo unanime sul fatto che con i tassi a zero fare più deficit di bilancio negli anni a venire abbasserà (avete letto bene) il rapporto tra debito e Pil, soprattutto se la spesa pubblica sarà concentrata su investimenti con un buon moltiplicatore (infrastrutture, istruzione, clima).
Per capire il cambiamento di clima da un decennio all’altro, basta riflettere sul fatto che Summers, guardando alla proposta bipartisan di rientro dal debito formulata dalla commissione Simpson-Bowles nel 2012 (ai tempi ammiratissima in quanto molto moderata, equilibrata e ragionevole per la sensibilità di allora) definisca oggi catastrofici gli esiti che avrebbe prodotto se il Congresso non l’avesse tranquillamente buttata nel cestino.
Più spesa, dunque, ma cosa succederà se i tassi prenderanno a salire? E saliranno? Sì, rispondono i partecipanti al seminario, i tassi saliranno più di quanto oggi scontano i mercati, ma non di molto, almeno fino a quando nel mondo ci sarà un eccesso di risparmio rispetto alla volontà di investirlo. È con questo dato strutturale (e non con la quantità di debito in circolazione) che i tassi si dovranno confrontare.
Con queste premesse non è difficile ipotizzare che il mercato azionario possa ancora salire. Quanto ai bond, tempi non più facili per i governativi, ma ancora spazio di guadagno per i corporate e per il debito che sfuma nell’equity, come nel caso dei subordinati.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.