rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

DOPO LO SHOCK

La ripresa non sarà automatica, richiederà tempo e buoni dati

Chi è stato colto dall’uragano dei giorni scorsi con posizioni a leva è contento di essere ancora vivo e non ha bisogno che gli si raccomandi prudenza nelle prossime settimane. Ha avuto un’esperienza di quasi morte e non ha voglia di riprovarci, almeno subito.

Chi è stato colto dall’uragano dei giorni scorsi con posizioni a leva è contento di essere ancora vivo e non ha bisogno che gli si raccomandi prudenza nelle prossime settimane. Ha avuto un’esperienza di quasi morte e non ha voglia di riprovarci, almeno subito.

Chi ha bisogno di prudenza, ora, è il compratore automatico su ribasso, quello che dà per scontato che siamo in un bull market cosmico e per il quale qualsiasi discesa è un’ovvia occasione di acquisto.

Qui di ovvio non c’è niente, a ben vedere. Le cose sono molto complicate e la complessità va rispettata. Rincorrere aggressivamente il primo recupero solo per paura di perdere il treno della vita non è l’atteggiamento più razionale. Fare piccoli acquisti selettivi distribuiti nel tempo, se e solo se sono giustificati da dati macro e micro positivi, sarà, nelle prossime settimane, molto meglio.

Per guardare al futuro, in ogni caso, va capito quello che è successo. Con il passare dei giorni l’analisi dello shock ha cambiato prospettiva. L’implosione del carry trade sullo yen, pure un’importante concausa, ha lasciato il posto a un tema più ampio, quello del passaggio (eventuale) dal no landing/soft landing all’atterraggio duro dell’economia globale. È questa paura che ha fatto impennare il prezzo della volatilità e ha strizzato le armate di venditori di volatilità che si sono costituite nella lunga fase del rialzo, costringendole a chiudere affannosamente le loro posizioni.

Andiamo con ordine e cominciamo dalla concausa, il carry trade sullo yen. Il Giappone, dal 2020, ha avuto tre fasi di politica monetaria esattamente come noi, ma di segno opposto. Quando noi siamo stati iperespansivi, durante la pandemia, il Giappone è stato immobile e ha avuto come premio l’assenza di inflazione. Quando noi, spaventati dall’imponente inflazione, abbiamo cominciato a diventare restrittivi, il Giappone è diventato super espansivo. La spiegazione ufficiale giapponese è che si sono accorti che l’inflazione è una cosa bella e moderna e che è ora anche per loro di avere stabilmente il 2 per cento di aumento annuale dei prezzi. È una spiegazione poco credibile. È più probabile che, in accordo con il Tesoro americano, il Giappone abbia accettato di controbilanciare la linea restrittiva della Fed per limitarne gli effetti. È lo stesso atteggiamento anticiclico che aveva avuto la Cina nel 2009, quando aveva dato un contributo decisivo, in un contesto di rapporti ancora amichevoli, alla ripresa globale.

In questo modo il Giappone, nei due anni passati, ha fornito al mondo la liquidità che Fed e Bce ritiravano. Mantenendo i tassi a zero, la Banca del Giappone ha incoraggiato gli operatori economici e finanziari globali a indebitarsi in yen, garantendo di fatto un indebolimento progressivo della valuta. I soldi raccolti in yen sono stati convertiti, tra l’altro, in azioni dei Magnifici Sette, in Treasuries e in Oat francesi. Con uno yen sempre più debole e Magnifici Sette sempre più forti il carry trade ha dato risultati eccellenti non solo per i suoi protagonisti, ma anche per i mercati in generale.

Poi è iniziata la terza fase. Noi, contenuta finalmente l’inflazione, ci apprestiamo a tagliare i tassi. Il Giappone, che di inflazione ne ha imbarcata più che abbastanza, si appresta ad alzarli. Basta con lo yen debole, basta con gli acquisti governativi in borsa per sostenerne i corsi e inizio del Quantitative tightening. Messaggio chiaro e ruvido a tutti i carry trader: la festa è finita.

E la festa è finita in un attimo, anche perché, dal lato dell’attivo, è finita d’un tratto anche la doppia magia dell’eccezionalismo americano (quella per cui gli Stati Uniti non sarebbero mai andati in recessione) e dell’Intelligenza Artificiale (quella per cui i titoli ad essa legati sarebbero saliti per anni e anni a venire).

È su questa magia che dobbiamo da qui in avanti concentrarci. Il carry trade sullo yen, infatti, è stato smontato di corsa da chi aveva sul tavolo le chiamate a margine e verrà smontato con un po’ più di calma da tutti gli altri. Inoltre la Banca del Giappone ha moderato i toni e ha fatto capire che lascerà il tempo per smontare quello che rimane senza farsi troppo male.

Resta invece il tema, come dicevamo, della doppia magia americana. È davvero finita? Quella più piccola, l’Intelligenza Artificiale, probabilmente sì, almeno per qualche tempo. Il settore guiderà la prima parte del recupero, ma poi si ritirerà in seconda fila fino a quando i ricavi daranno segni di accompagnare sul serio le fortissime spese d’investimento sostenute finora.

Resta dunque il tema davvero decisivo, la grande magia del no landing/soft landing americano. Nelle scorse due settimane ci sono stati segnali di rallentamento che hanno coinvolto anche il mercato del lavoro. La Fed non si è mostrata preoccupata, ma una parte del mercato ha cominciato a pensare all’inizio di un processo che si concluderà, l’anno prossimo, in una recessione conclamata. Come ha detto Claudia Sahm, non siamo in recessione, ma siamo pericolosamente vicini.

Il dibattito è apertissimo. Il Nowcast della Fed di Atlanta stima che al 6 agosto il Pil americano del terzo trimestre sta crescendo a una velocità annualizzata del 2.9 per cento, più surriscaldamento che recessione. D’altra parte c’è stanchezza da parte dei consumatori, mentre le imprese segnalano un certo malessere, per ora concentrato nel manifatturiero.

In una situazione così incerta e con i mercati così infiammabili, qualsiasi dato, anche minore, viene scrutato con la massima attenzione e sposta i mercati. Oggi, ad esempio, la modesta riduzione nelle richieste di sussidi di disoccupazione provoca forti recuperi, anche perché sembra provare che l’aumento della settimana scorsa era davvero dovuto all’uragano in Texas (effetto che era stato negato dal Department of Labor). La settimana prossima, il dato sull’inflazione sarà ancora più importante, perché darà un’idea di quanto la Fed potrà davvero tagliare in settembre.

La nostra idea è che, per quanto ci siano segni di rallentamento, prevalga comunque un quadro di soft landing. L’atterraggio duro rimane solo un’ipotesi, anche se i mercati continueranno a parlarne a lungo. Il solo fatto di parlarne tarperà le ali ai recuperi di borsa, che ci saranno ma saranno nervosi e bisognosi di continue conferme positive.

Va anche ricordato che, mentre fino a pochi giorni fa i futuri tagli della Fed venivano visti solo in una luce positiva, oggi se ne vede anche l’effetto di riduzione dello spread di tasso tra America e Giappone, con una possibile seconda ondata (ance se più piccola) di chiusure di posizioni di carry trade.

In conclusione, ci pare legittimo mantenere un’inclinazione positiva per le borse per i prossimi due tre mesi, ma non sembra prudente spendere tutto subito. I mercati hanno bisogno di una fase di convalescenza per permettere ai venditori di volatilità di tornare a ripresentarsi sui mercati. Finché la volatilità rimarrà elevata il rischio che un piccolo dato negativo possa compromettere il recupero rimane.

Meglio dunque sperare, più che in un rally esplosivo, in una guarigione graduale.

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