rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

DUBIA

Seguire il rialzo, conservare la capacità critica

Con un’economia che cresce a una velocità tranquilla, un’inflazione che ha ripreso a scendere, un ciclo di tagli dei tassi che sta per iniziare e con le elezioni americane sempre più vicine sarebbe bizzarro avanzare l’ipotesi di un’inversione di tendenza nei mercati.

Con un’economia che cresce a una velocità tranquilla, un’inflazione che ha ripreso a scendere, un ciclo di tagli dei tassi che sta per iniziare e con le elezioni americane sempre più vicine sarebbe bizzarro avanzare l’ipotesi di un’inversione di tendenza nei mercati.

Si può quindi restare investiti e partecipare a un rialzo degli asset finanziari che in fondo ci indennizza della perdita di potere d’acquisto provocata dall’inflazione degli anni scorsi. Questo non comporta però un’adesione acritica e totale alla narrazione prevalente, a tratti compiaciuta e trionfalistica.

Raccogliamo quindi qui alcuni di quelli che il diritto canonico definisce dubia, ovvero perplessità e richieste di chiarimento che i vescovi possono trasmettere alla Santa Sede su questioni controverse o poco chiare. Ai dubia, nel diritto canonico, seguono le responsa.

Qui, in questo contesto profano, di risposte non ne daremo, ma già formulare qualche dubbio (o semplicemente fornire un contesto a quello che sta accadendo, relativizzandolo) può avere forse un minimo di utilità.

La prima perplessità è sulla coerenza della narrazione prevalente. Come notano alcuni osservatori, tra i quali Andy Constan, è difficile conciliare la forza dei bond con quella dell’azionario.

I bond scontano una discesa del Pil nominale verso il 3-3.5 per cento nei prossimi anni, con un 2 di inflazione e un 1-1.5 per cento di crescita reale. Alla minore inflazione corrisponde infatti, nella narrazione obbligazionaria, una decelerazione della crescita.

L’azionario, dal canto suo, sconta però una crescita degli utili molto forte (in alcune stime del 30 per cento nei prossimi due anni). Come si giustifica questa impennata degli utili (che negli scorsi due anni sono cresciuti poco) con un Pil nominale a crescita contenuta?

Una risposta ormai classica a questa perplessità è quella che indica la crescita della produttività come elemento decisivo. La tecnologia e, in particolare, l’Intelligenza Artificiale, permetteranno prestissimo di ridurre i costi, in particolare il costo del lavoro, e di aumentare e migliorare i prodotti e i margini di profitto.

Se però si va a vedere meglio perché è cresciuta la produttività in questi ultimi anni (peraltro solo in America) si nota che la causa non è la scintillante Intelligenza Artificiale, ma la massiccia immigrazione. Non sono i robot, ma gli immigrati a basso costo (che sostituiscono o integrano la più costosa manodopera nativa) ad abbassare il costo del lavoro per unità di prodotto.

Con Trump, se toccherà a lui, il flusso di immigrazione rallenterà. Questo verrà compensato dalla deregulation, ma anche mettendo insieme i due fattori è comunque difficile che la produttività acceleri ulteriormente.

Resta l’effetto dell’Intelligenza Artificiale. Quale effetto, si chiede Jim Covello di Goldman Sachs. Sono 18 mesi che la generativa è in circolazione e non esiste ancora nessun utilizzo dirompente di questa tecnologia. Certo, volendo si può sostituire forza a lavoro a basso costo con IA ad altissimo costo, ovvero il contrario di quello che si è fatto storicamente con la tecnologia, ma che senso ha?

Gli fanno eco Daron Acemoglu del MIT, che prevede effetti modesti e lenti dell’IA, e David Cahn di Sequoia, che stima che, a fronte del mezzo trilione di investimenti effettuati finora (che diventeranno presto un trilione) solo un quinto, nell’orizzonte prevedibile, verrà recuperato.

Auguriamo ovviamente all’IA generativa di ridurre strada facendo i suoi costi e di trovare applicazioni utili e redditizie, ma ricordiamo anche che l’IA generativa è un ramo laterale della grande famiglia dell’IA, una sorta di scorciatoia dai risultati immediati spettacolari ma di sostanza ancora da dimostrare. La storia anche recente della tecnologia è fatta del resto anche di false partenze o di mezze partenze, come abbiamo visto con la realtà virtuale, il metaverso o la blockchain.

L’aspetto positivo è che le spese per l’IA generativa sono in gran parte sostenute da società multitrilionarie, ben diversificate e in grado di produrre grandi utili da comparti più tradizionali, come ad esempio il Cloud. Finché la loro crescita e la loro profittabilità complessiva si manterranno sui livelli attuali questi colossi saranno comunque da mantenere nei portafogli.

Un altro dubbio rispetto all’entusiasmo manifestato in questo periodo dai mercati riguarda la conclusione del processo di normalizzazione dell’inflazione. I mercati lo danno per definitivamente concluso. Hanno ragione, ma il vero test lo vedremo quando l’economia tornerà ad accelerare. Per ora rallenta. E poi, quanto ancora celebreremo ogni mese (per tutto il mese) l’inflazione stabilizzata? Fino a cinque anni fa i dati sull’inflazione, molto stabili, non producevano nessun effetto sui corsi azionari e obbligazionari e presto o tardi dovrà tornare a essere così.

L’ultimo dubbio è tattico. Luglio e la prima parte di agosto sono spesso un periodo di eccessi rialzisti. Il grande pubblico entra nel mercato, convinto della sua invulnerabità, e compra a qualsiasi prezzo. Gli ultimi short sopravissuti chiudono le posizioni. A fine agosto e settembre le cose, spesso, cambiano. Quest’anno, con le elezioni alle porte, è possibile che la correzione sia molto limitata, ma non dimentichiamo che i mercati non vanno mai a senso unico.

In conclusione, il bull market rimane in piedi e avrà la forza, nel tempo, di compensare un’eventuale correzione nella tecnologia con un rialzo degli altri settori. L’Europa è di nuovo comprabile e in Francia tutto è cambiato perché nulla cambi. L’importante sarà mantenere portafogli diversificati e in grado di sopportare bene un probabile aumento della volatilità.

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