Il Louvre, la borsa Birkin, qualche vecchia centrale nucleare, quello che resta della Françafrique. Quanto vale oggi la Francia? Tramontati i sogni di grandezza dell’informatica, del Minitel alternativo a Internet, dell’aerospaziale surclassato da Musk, dei TGV che scompaiono di fronte alla sterminata alta velocità cinese, la Francia rimane comunque maestra nel vendere il proprio marchio e il suo soft power. La sua storia è del resto una tensione permanente tra le ambizioni e la realtà, tra i grandi slanci e le grandi cadute.
Il Louvre, la borsa Birkin, qualche vecchia centrale nucleare, quello che resta della Françafrique. Quanto vale oggi la Francia? Tramontati i sogni di grandezza dell’informatica, del Minitel alternativo a Internet, dell’aerospaziale surclassato da Musk, dei TGV che scompaiono di fronte alla sterminata alta velocità cinese, la Francia rimane comunque maestra nel vendere il proprio marchio e il suo soft power. La sua storia è del resto una tensione permanente tra le ambizioni e la realtà, tra i grandi slanci e le grandi cadute.
Da Waterloo a Sedan, da Vichy a Dien Bien Phu, la Francia si vede periodicamente costretta a riconciliare le sue immense aspirazioni con la sua debolezza strutturale. È una storia simboleggiata dalle vicende del vecchio franco della Quarta Repubblica e del nuovo franco della Quinta, sempre aggrappati alle valute forti ma poi costretti periodicamente a pesanti e ingloriose svalutazioni che li riportavano con i piedi per terra.
Quest’anno la borsa francese è l’unica, tra quelle dei paesi di antica industrializzazione, ad avere segno negativo. Perde il 3 per cento mentre il Dax, sull’altra riva del Reno, guadagna il 21. Capitalizza 3.5 trilioni, che sono pur sempre il 116 per cento del suo Pil e quasi il quadruplo della borsa italiana, ma che sono stati in questi giorni superati di slancio dai 3.7 trilioni raggiunti dalle criptovalute.
Il problema della Francia, considerata con gli occhi di un possibile compratore a caccia di occasioni, è che il tunnel nel quale si è infilata rischia di non essere breve. Alla fine, il bilancio 2025 verrà in qualche modo approvato, anche perché la Le Pen vuole certamente umiliare l’Eliseo, ma vuole anche presentarsi come responsabile all’elettorato centrista di cui avrà bisogno se vorrà cercare di vincere le prossime presidenziali. Il bilancio 2025, inoltre, non si discosterà dai limiti prescritti da Bruxelles (già molto generosi per gli standard della Commissione).
Il problema è che, dopo il voto anticipato della prossima estate, l’Assemblea Nazionale non sarà molto diversa da quella attuale. Sarà però differente la posizione dei socialisti, che si distaccheranno dal Nouveau Front Populaire e proporranno una coalizione con parti del centro macroniano. Se questa operazione riuscirà, ne uscirà un governo tax and spend a metà strada tra il basso profilo degli ultimi governi centristi e l’alto profilo giacobino che avrebbe una coalizione che includesse Mélenchon. Se l’operazione non riuscirà, si continuerà con governi tecnici centristi che dialogheranno in qualche modo con la destra. In pratica emergeranno governi di centrosinistra o di centrodestra, non molto pro-business ma comunque sostanzialmente rispettosi, per necessità più che per scelta, del percorso fiscale indicato da Bruxelles.
Nessuna crisi acuta del debito francese, quindi, e nessuna deriva fiscale al di là di quello che abbiamo visto fin qui. In questo contesto, i titoli del debito pubblico non risultano particolarmente sottovalutati, ma le azioni delle banche francesi meritano considerazione. Anche il lusso è da seguire, con l’avvertenza che le imminenti guerre commerciali potranno renderlo volatile.
Più in generale, dopo i grandi rialzi azionari degli ultimi due anni, il grande dibattito è oggi se dedicarsi ai mercati rimasti indietro, come la Francia o la Cina, o se continuare a cavalcare l’eccezionalismo americano e, al suo interno, i temi della crescita e le nicchie, ormai diventate ampie, come quella delle criptovalute.
Siamo entrati in una fase in cui i mercati si dedicano soprattutto alla ricerca di temi alternativi. C’è parecchio da fare in questa direzione, ma bisogna avere due questioni chiare. La prima è che i grandi rialzi non possono reggere a lungo se non includono i titoli di crescita, molti dei quali sono fermi da almeno sei mesi. La seconda è che il comparto value, per non cadere nella trappola del valore, va considerato quando si profilano circostanze positive nuove e imminenti. Il ciclo di taglio dei tassi è la principale di queste circostanze attualmente visibili e dispiega il suo effetto sui ciclici, sulle utilities e sull’Europa, l’area che sarà la più aggressiva nei tagli. Quanto all’Asia, il suo momento verrà più tardi, ovvero se e quando i dazi imposti da Trump all’inizio del suo mandato verranno eliminati in cambio di una rivalutazione delle monete dell’area.
Per ora siamo in una fase in cui momentum e value coincidono. I titoli che salgono di più sono infatti quelli trascurati nella lunga stagione dei Magnifici Sette. Questi titoli devono però essere in settori sani e prevalentemente esposti ai mercati interni, il più possibile al riparo dalle imminenti guerre commerciali.
Detto questo, i portafogli dovrebbero mantenere comunque un equilibrio e continuare quindi a includere i titoli di crescita. Non siamo ancora certi che l’inflazione si sia riaddormentata e un suo risveglio, anche se contenuto, bloccherebbe i tagli dei tassi da parte delle banche centrali e provocherebbe una controrotazione verso i titoli di crescita. I quali, per definizione, hanno anche il tempo che gioca per loro.
Crescita a prezzi ragionevoli e valore nelle situazioni vicine a una svolta positiva sono dunque i criteri da seguire nella fase sicuramente vivace che si aprirà con l’anno nuovo. Le aspettative, per ora, sono elevate, molto più di quelle di un anno fa a quest’epoca. Non abbiamo motivi per dire che non si realizzeranno, ma non dobbiamo dimenticare che sono già, almeno in parte, scontate nei prezzi.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.