rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

HORUS

La Fed, il falco che vorrebbe essere benevolo

Figlio di Iside e di Osiride, il dio-falco Horus è un’antichissima divinità egizia che risale alla preistoria. A lui fu dedicata una città, che i Greci chiamarono Ieracompoli, la città del falco.

Figlio di Iside e di Osiride, il dio-falco Horus è un’antichissima divinità egizia che risale alla preistoria. A lui fu dedicata una città, che i Greci chiamarono Ieracompoli, la città del falco.

Noi classifichiamo oggi il falco tra i rapaci e diamo a rapace una connotazione negativa con cui indichiamo, tra l’altro, una persona sanguinaria o avida. Horus è però una figura che, oltre che forte, è anche positiva e nobile. È il dio della regalità, del cielo e del sole, ma anche della guarigione e della protezione.

I mercati, lungo questo ciclo di stretta monetaria, hanno vissuto la Fed prima come un falco sanguinario, che avrebbe provocato una seria recessione già nella seconda metà del 2022, e poi, quest’anno, come un falco debole, che ai primi segni di rallentamento avrebbe immediatamente abbassato i tassi. Da qui il continuo cercare di posizionarsi sulla parte lunga della curva per anticipare un grande rally obbligazionario che in realtà non c’è stato e che è finora costato ai suoi fautori sia come carry negativo sia come perdita in conto capitale.

La Fed, di suo, non vede tutta questa urgenza di abbassare la guardia. Vede un mercato del lavoro meno spumeggiante, certo, ma ancora molto solido. Le imprese cercano di assumere un po’ meno di prima, ma si tengono strettissimi i dipendenti che hanno. Pensano evidentemente che un eventuale rallentamento sarà breve e che, dovessero licenziare adesso, non riuscirebbero più a riassumere una volta iniziata la ripresa, esponendosi al rischio di perdere quote di mercato.

La Fed, tuttavia, non cerca attivamente una recessione. Ha una maggioranza, vicina ai democratici, che vorrebbe evitare di complicare troppo la vita a Biden in questa fase che è già preelettorale. Questa maggioranza ha evitato di seguire le indicazioni di Bullard, che all’inizio di quest’anno proponeva di alzare rapidamente i tassi al 5.75, e ha seguito un percorso graduale che, lungi dal provocare una recessione, ha permesso una riaccelerazione dell’economia americana.

Questa Fed, che si vive come un falco attento e benevolo, si troverà di fronte, nelle prossime settimane, un mercato sovraeccitato che sta tornando a vivere la Fed come un falco sanguinario che non vede i numerosi rischi che si profilano all’orizzonte.

E allora vediamoli, questi rischi.

Il primo è che il petrolio continui a salire di prezzo, rallentando la crescita e interrompendo la discesa dell’inflazione. Nell’immediato, in effetti, il prezzo del greggio si manterrà sostenuto, ma già verso la fine dell’anno dovremmo vedere un mercato in equilibrio, grazie all’aumento dell’offerta di molti produttori (Iran, Guyana, Venezuela). Sauditi e Russia vogliono il greggio a 100 dollari, ma non oltre, pena la perdita di quote di mercato.

Il secondo rischio è lo sciopero dell’auto americana. Lo sciopero, che si allargherà gradualmente a tutte le fabbriche, costerebbe, a regime, un miliardo di Pil al giorno e potrebbe, se prolungato, pesare parecchio sul Pil annualizzato del quarto trimestre, con il rischio teorico di provocarne il segno negativo. In America il sindacato paga lo stipendio agli iscritti che scioperano e questo lo induce generalmente a non prolungare troppo le vertenze. Questa volta però le rivendicazioni sono molto aggressive, segno che il sindacato si prepara a una battaglia lunga. Le scorte di auto, dal canto loro, sono piuttosto basse e la domanda si orienterà quindi sull’usato, facendone salire il prezzo, che ha una certa incidenza sul CPI.

Il terzo rischio è la chiusura graduale delle attività della pubblica amministrazione a partire dal primo ottobre. Lo shutdown non va confuso con il debt ceiling. Quest’ultimo priva il Tesoro della capacità di raccogliere fondi sul mercato. Con lo shutdown il Tesoro può invece continuare a finanziarsi come vuole (niente default, quindi) ma i fondi raccolti non possono essere spesi dall’amministrazione, perché il Congresso non li ha allocati.

Lo shutdown provoca la sospensione dello stipendio per i dipendenti pubblici, che però lo recuperano integralmente (anche se sono rimasti a casa) una volta che il Congresso ha allocato i fondi. È uno psicodramma che fa pochi danni al Pil, ma crea un disagio psicologico che si riverbera sui mercati.

Un quarto rischio è rappresentato dalla fine imminente della moratoria sui prestiti universitari, che in questi mesi ha permesso ai debitori di saltare le rate di pagamento, lasciando loro più soldi in tasca.

Il quinto rischio è che l’inflazione torni a salire. È quello che pensano i componenti del Fomc che, dai dati pubblicati ieri, alzano le stime per tutti i tipi di inflazione da qui alla fine dell’anno. Con inflazione più alta e Fed che non alza i tassi, la parte lunga della curva soffre.

Questi rischi, in un contesto di posizionamento ancora rialzista, rendono complicato il cammino di azioni e bond nelle prossime settimane. Il telegiornale mostrerà picchetti a Detroit, uffici pubblici chiusi e distributori di benzina che espongono prezzi in aumento. Non sarà bello.

Verso fine anno, o anche prima, molti di questi problemi si saranno attenuati o del tutto risolti. La Fed lo sa e si dichiara sufficientemente fiduciosa sul 2024 da alzare le stime sui tassi. Il mercato rimarrà però sotto pressione per qualche tempo.

Nei prossimi giorni i profeti di sventura avranno il loro momento. Non prestiamo loro troppa attenzione e teniamo, come la Fed, la barra dritta. Per il momento rimaniamo su azioni difensive e obbligazionario breve. Più avanti verrà il momento di tornare sulla crescita e sulle obbligazioni lunghe.

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