rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

I PERPLESSI

Tagliare comunque? Qualcuno non è convinto

Summers, Waller, Yardeni. Tre voci che raccomandano cautela e vedono rischi che il mercato, in questo momento, non sembra prendere in considerazione. L’aspetto interessante è che a essere d’accordo nell’arrivare a queste conclusioni sono figure molto diverse tra loro, ovvero un frenatore, un flessibile e un permabull.

Summers, Waller, Yardeni. Tre voci che raccomandano cautela e vedono rischi che il mercato, in questo momento, non sembra prendere in considerazione. L’aspetto interessante è che a essere d’accordo nell’arrivare a queste conclusioni sono figure molto diverse tra loro, ovvero un frenatore, un flessibile e un permabull.

Il frenatore è Summers, ex segretario al Tesoro nell’amministrazione Clinton e capo dei consiglieri economici di Obama. Un democratico di ferro, quindi, figlio e nipote di celebri accademici keynesiani. Summers è stato in questi anni un critico puntuale e severo dell’amministrazione Biden, che ha accusato di avere stimolato troppo l’economia durante la pandemia, e della Fed, che ha accusato di avere iniziato ad alzare i tassi con grave ritardo. E’ stato tra i pochi a individuare, oltre agli aspetti transitori, anche quelli strutturali dell’inflazione di questo decennio. I fatti gli hanno dato finora puntualmente ragione.

Oggi Summers sostiene che il tasso terminale indicato dalla Fed, il 2.6 per cento, non ha senso in un’economia che continuerà a restare iperstimolata dal lato fiscale per tutto l’orizzonte prevedibile. Molto più appropriato sarebbe il 4 per cento, sostiene. Nel breve Summers si chiede se ci siano davvero ragioni per tagliare i tassi quest’anno quando l’economia e le borse vanno bene, c’è pieno impiego e l’inflazione rimane ostinatamente sopra l’obiettivo del 2 per cento.

Waller, che abbiamo definito flessibile, viene dalla Federal Reserve di St Louis, una delle Fed regionali intellettualmente più vivaci. Trump lo ha nominato componente del Fomc nel 2020. In questi anni Waller ha acquisito influenza e dimostrato indipendenza di pensiero, distinguendosi dai permaespansivi democratici e dai permafrenatori repubblicani. Ha chiesto di alzare i tassi mentre l’inflazione montava, quando Powell cercava ogni pretesto per non farlo, ma ha anche appoggiato l’idea di terminare i rialzi prima di molti altri in considerazione dell’andamento del mercato del lavoro, meno teso di quanto appariva. Negli ultimi giorni Waller ha però segnalato la sua perplessità rispetto all’idea di tagliare a tutti i costi i tassi senza avere prima conferma che l’inflazione abbia ripreso a scendere. Non c’è fretta, ha ripetuto quattro volte nel suo discorso (intitolato, a scanso di equivoci, There’s Still Non Rush).

Infine Ed Yardeni, un permabull intelligente e rispettato, sempre costruttivo sui mercati ma con argomentazioni interessanti anche per un permabear. Naturalmente, in un momento in cui i mercati gli stanno dando ragione, Yardeni rimane convinto che le borse saliranno ancora, ma questa convinzione è accompagnata da una seria perplessità. Una Fed che taglia in queste circostanze, sostiene, continuerà a spingere verso l’alto un mercato che non ha certo bisogno di spinte e crea le condizioni per una bolla che ricorda quella dei tardi anni Novanta. Le bolle sono belle ma, come sanno bene ance i permabull, a un certo punto scoppiano.

Che conclusioni trarre da queste osservazioni? Da seguaci della scuola realista siamo più che convinti che gli investitori devono seguire prima di tutto quello che la Fed fa, poi, a distanza, quello che la Fed dice e poi, molto sullo sfondo, quello che dovrebbe fare. In questo momento c’è nella Fed una maggioranza ridotta ma compatta a favore dei tre tagli e tre tagli, quasi certamente ci saranno. Punto. Che questo sia giusto o sbagliato, che cioè si possa a un certo punto tradurre in volatilità e ribassi (magari l’anno prossimo) va tenuto in conto in sede di gestione del rischio a medio termine, non nell’allocazione presente.

Questa ha da rimanere sovrappesata in azionario e crediti e l’eventuale perplessità sulla direzione espansiva della Fed si può tradurre in un sovrappeso graduale dei settori difensivi rimasti indietro, ma non in un sottopeso dell’azionario. Non ora, non ancora.

Bob Elliott, un gestore formatosi in Bridgewater, sintetizza molto bene la situazione. In uno scenario no landing in cui l’economia continua tranquillamente a crescere e la Fed stimola crescita e inflazione tagliando i tassi, la borsa sale e i bond non scendono. In uno scenario di soft landing, d’altro canto, salgono sia la borsa sia i bond. Attenzione però a lasciarsi prendere la mano, perché la borsa già incorpora significativi aumenti degli utili, mentre i bond hanno azzerato il term premium, ovvero il premio per il rischio che i rendimenti, nell’arco di vita dell’emissione, possano cambiare nel tempo.

In sintesi, ci sembra di poter dire che in un mondo sobrio i valori attuali di azioni e bond sarebbero equilibrati. Ma il mondo non è sobrio, bensì stimolato dall’aumento della base monetaria (nonostante il Quantitative tightening), dalle politiche fiscali e dai futuri tagli dei tassi. Bond e azioni, presi insieme, sono dunque spinti verso l’alto e sarà l’inflazione a decidere chi dei due si comporterà meglio.

Se il rialzo azionario sarà lento e intervallato ogni tanto da pause di consolidamento, allora le possibilità di un esito favorevole saranno elevate. Se assisteremo invece a un melt up, sarà bene, a un certo punto, allacciare le cinture di sicurezza.

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