rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

IL MONDO È GRANDE

L’America corre, ma Cina, Europa ed emergenti non stanno fermi

Nel 1940 i fisici sovietici notarono che dalle riviste scientifiche tedesche, inglesi e americane erano improvvisamente scomparsi gli articoli dedicati alla fisica nucleare. Ne trassero correttamente la conclusione che programmi di ricerca a sfondo militare avevano preso nei tre paesi la direzione del settore. La cosa arrivò subito sul tavolo di Stalin, che avviò un programma analogo. L’invasione nazista dell’anno successivo interruppe però il processo di costruzione dell’atomica sovietica, che accumulò così quattro anni di ritardo e arrivò alla sua prima detonazione solo nell’agosto 1949.

Nel 1940 i fisici sovietici notarono che dalle riviste scientifiche tedesche, inglesi e americane erano improvvisamente scomparsi gli articoli dedicati alla fisica nucleare. Ne trassero correttamente la conclusione che programmi di ricerca a sfondo militare avevano preso nei tre paesi la direzione del settore. La cosa arrivò subito sul tavolo di Stalin, che avviò un programma analogo. L’invasione nazista dell’anno successivo interruppe però il processo di costruzione dell’atomica sovietica, che accumulò così quattro anni di ritardo e arrivò alla sua prima detonazione solo nell’agosto 1949.

Marc Andreessen, fondatore di Netscape e venture capitalist di Silicon Valley, ha rivelato nei giorni scorsi che l’amministrazione Biden aveva detto chiaramente a lui a ad altri aspiranti fondatori di nuove imprese dedicate all’intelligenza artificiale, che in America c’era posto solo per due, massimo tre soggetti dedicati al settore e profondamente integrati con gli apparati governativi. All’obiezione di Andreessen che non si poteva impedire la circolazione delle formule matematiche e del software alla base dell’AI, i funzionari avevano risposto che durante la Seconda Guerra Mondiale, con la fisica nucleare, il governo era riuscito benissimo a controllare e sigillare il settore, a partire dalle strutture accademiche, attentamente sorvegliate dall’intelligence civile e militare.

L’integrazione tra i colossi della nuova tecnologia e gli apparati governativi spiega almeno in parte l’audacia con cui alcuni dei Magnifici Sette si sono lanciati in programmi d’investimento senza precedenti, giustificabili agli occhi degli azionisti con il loro carattere oligopolistico e con le barriere all’entrata costituite dal costo altissimo dei programmi di addestramento dei Large Language Models.

I muri costruiti intorno a Los Alamos nel 1943 e la protezione dalla concorrenza dei soggetti abilitati all’AI servono però fino a un certo punto. C’è sempre porosità, come quella che permise a Klaus Fuchs, un fisico tedesco tra i più strategici del Progetto Manhattan, di passare per sette anni piani dettagliati ai russi. Ma ci sono anche outsider che saltano fuori all’improvviso, come i cinesi di DeepSeek, che hanno prodotto un LLM che è considerato, come qualità, tra il secondo e il terzo posto tra i primi cinque nel mondo.

Fosse Big Science costituita e ampiamente finanziata dal governo cinese (lo diventerà certamente, prima o poi) non ci sarebbe troppo da stupirsi. DeepSeek è però in realtà la diversificazione di una società di asset management di ispirazione quantitativa (per chi si facesse strane idee, né l’asset manager né DeepSeek sono quotati) fondata da tre ingegneri neolaureati di Hangzhou nel 2015. Si sono diversificati perché come asset manager andavano così così e perché il governo cinese, nel 2022, si è messo a scoraggiare le attività speculative.

L’addestramento del modello di DeepSeek è costato un trentesimo di quello dei grandi modelli di cui da due anni sentiamo parlare tutti i giorni. Il suo funzionamento richiede un decimo dell’energia elettrica. Inoltre è open source.

Naturalmente qualsiasi governo potrà vietare l’utilizzo di questo modello e non sappiamo quanto il suo emergere tra i migliori in circolazione resisterà nel tempo. Ma non è questo il punto. Il punto è che chi produce e controlla la tecnologia di frontiera dell’innovazione può essere a sua volta improvvisamente scalzato da un outsider ancora più innovativo. E che le barriere all’entrata costituite dagli investimenti trilionari (in disegno e addestramento, in data center e in centrali nucleari dedicate ad alimentarli) possono da un giorno all’altro abbassarsi drasticamente e trasferire i benefici dell’AI dai suoi produttori ai suoi utilizzatori.

È una ragione in più per considerare strutturale la rotazione in borsa dai Magnifici Sette al resto del listino, così come quella dalla borsa americana alle borse del resto del mondo.

In questa rotazione, almeno per quest’anno, c’è veramente l’imbarazzo della scelta tra Europa, emergenti e Cina. L’unico grande rischio è che Trump metta dazi così alti da fare seriamente vacillare queste economie nel loro complesso e non solo i settori più esposti all’export verso l’America.

In teoria la Cina è la più esposta al rischio di dazi particolarmente alti. La Cina è però anche il paese che ha più da offrire a Trump in cambio di dazi accettabili. Ha da offrire (anche se è improbabile, in quanto punto d’onore) un rinvio del suo programma di riunificazione con Taiwan, magari in cambio di un impegno americano a non sostenere in nessun modo il principio dell’indipendenza dell’isola. Ha da offrire uno spazio di rivalutazione della sua moneta superiore a quello di tutti gli altri paesi. Ha da offrire un rilancio dei suoi consumi interni (e quindi del suo import) più di ogni altro paese. Ha da offrire l’importazione di grandi quantità di fossili e di derrate agricole dall’America. Ha da offrire, anche se è un punto delicato, un certo ridimensionamento dei legami con la Russia. Ha da offrire il ritorno all’acquisto di Treasuries anche a lunghissimo termine, un punto su cui Bessent, che i Treasuries li dovrà collocare quasi tutti i giorni, è particolarmente sensibile. È difficile che Trump rimanga insensibile di fronte a queste allettanti offerte.

L’Europa ha meno da offrire a Trump, anche perché ha già concesso agli Stati Uniti un completo allineamento geopolitico e una nuova forma di dipendenza energetica dal gas americano. Certo, l’Europa può offrire un atteggiamento più ostile verso la Cina, ma rischia ritorsioni cinesi che la colpirebbero al cuore, in particolare nel settore automobilistico.

Rispetto allo stimolo interno che la Cina può e intende realizzare, quello che l’Europa potrebbe fare (gli 800 miliardi di investimenti del piano Draghi, la cancellazione dei vincoli di bilancio dalla costituzione tedesca, l’aumento delle spese militari) può apparire abbastanza modesto, ma per gli standard europei non lo è.

Abbiamo detto più volte in passato che l’effetto netto dei dazi di Trump sulla crescita globale sarebbe a somma positiva, perché scatenerebbe ovunque risposte monetarie e fiscali espansive che più che compenserebbero la perdita di export verso gli Stati Uniti. Questi ultimi, ovviamente, dovrebbero a loro volta produrre di più per compensare le minori importazioni. Se poi i dazi dovessero risultare alla fine più bassi del temuto, l’effetto espansivo sarebbe ancora maggiore, perché le politiche di stimolo, a questo punto, verranno attuate comunque. In un certo senso, quindi, Trump non solo scuoterà l’albero, ma spingerà gli altri a raccoglierne una buona parte dei frutti.

Per chi ha un po’ di coraggio in più (il coraggio di sopportare il rischio di una rottura tra Cina e America), la borsa cinese potrebbe offrire quest’anno un ritorno ancora maggiore di quelle europee, unito per giunta a un forte apprezzamento del renminbi. Basterebbe comunque, per avere un buon rapporto tra rischi e opportunità, dividere a metà l’investimento tra Europa e Cina.

Naturalmente, se tutti si mettono a stimolare nello stesso momento economie che sono già in pieno impiego e rallentano l’immigrazione, i rischi di riaccelerazione dell’inflazione crescono. Per fortuna, almeno in America, per qualche mese verrà in soccorso la discesa dell’inflazione immobiliare, preannunciata da anni e mai arrivata perché i flussi migratori provocavano tensione sui prezzi degli affitti e delle case, molto rilevanti all’interno del paniere complessivo su cui sono misurati CPI e PCE. Da qualche mese, in vista delle elezioni, l’amministrazione Biden aveva molto ridotto questi flussi, che con Trump rallenteranno ulteriormente, e gli effetti sui prezzi degli immobili cominciano a vedersi.

Se la risposta della Fed a un’economia che corre sarà di lasciarla correre senza troppi freni e tagliare ancora i tassi, i bond lunghi americani si stabilizzeranno sul 5 per cento o anche oltre. Se la Fed deciderà invece di dare un colpo di freno e alzerà i tassi i bond lunghi respireranno, ma la borsa sarà meno brillante.

Non si può avere tutto, ma il 2025, nel complesso, per un portafoglio equilibrato e diversificato sarà un anno positivo.

Ultimi Numeri

30 Gennaio 2025
23 Gennaio 2025
16 Gennaio 2025
19 Dicembre 2024
Al Quarto Piano con Alessandro Fagnoli


ARCHIVIO

2025