Rosso e Nero 720
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

IL TERREMOTO

Il loro disavanzo, il nostro problema

Il dollaro? È la nostra valuta, ma è il vostro problema. Con queste celebri parole, il segretario al Tesoro dell’amministrazione Nixon, John Connally, si rivolse nel 1971 al resto del mondo dopo la svalutazione del dollaro, l’abbandono della convertibilità con l’oro e la fine del sistema di Bretton Woods.

Il dollaro? È la nostra valuta, ma è il vostro problema. Con queste celebri parole, il segretario al Tesoro dell’amministrazione Nixon, John Connally, si rivolse nel 1971 al resto del mondo dopo la svalutazione del dollaro, l’abbandono della convertibilità con l’oro e la fine del sistema di Bretton Woods.

Il nostro disavanzo delle partite correnti? Da oggi è il vostro problema. Né Trump né Bessent hanno usato queste parole per commentare il secondo più grande rialzo dei dazi nella storia americana dopo il Tariff Act del 1828, ma il senso è stato quello.

Il tribunale della storia deciderà un giorno se la grande distorsione provocata dall’avere da una parte l’America come compratore di ultima istanza del mondo e, dall’altra, un’Europa e un’Asia mercantiliste, è stata colpa dell’America o del resto del mondo. Proverà a stabilire se è stata l’America a volere vivere e consumare sulle spalle degli altri o se sono stati gli altri a volere produrre, fare crescere le loro industrie ed esportare il più possibile sulle spalle dell’America. Il tribunale potrà forse concludere che c’è stata una complicità profonda tra le parti, che per 50 anni hanno prosperato (l’una consumando, gli altri producendo) e sono state sorde ai continui appelli (anche se sempre più fievoli) del Fondo Monetario Internazionale a correggere la grande distorsione. Parliamo di quel Fondo Monetario che fu creato dalla conferenza di Bretton Woods nel 1944 proprio per facilitare il riequilibrio dei commerci internazionali prestando soldi ai paesi che dovevano correggere il disavanzo delle loro partite correnti. Allora si pensava a scostamenti piccoli per periodi brevi, ma siamo invece finiti con uno squilibrio che dura da mezzo secolo e ha raggiunto proporzioni senza precedenti nella storia.

Il problema è che ora l’America di Trump ha deciso che il problema va affrontato in tempi brevi. Non dice risolto in tempi brevi, perché questo provocherebbe la madre di tutte le depressioni e travolgerebbe la stessa amministrazione Trump. Ma anche solo iniziare ad affrontarlo, spinti dai dazi (anche perché nessuno lo avrebbe affrontato altrimenti), non sarà affatto indolore.
Certo, Cina ed Europa, come il barone di Münchausen, si tireranno su prendendosi per i capelli e indebitandosi per finanziare riarmo e infrastrutture in Europa e consumi in Cina, ma che cosa faranno il Vietnam e il Lesotho, colpiti dai dazi più severi, vicini al 50 per cento, o il Bangladesh? Già, perché i tecnici del Commercio americano, per fare in fretta, non hanno calcolato minuziosamente il peso delle barriere commerciali altrui e poi comminato dazi di vera reciprocità, ma hanno applicato una semplice formula che aggancia il dazio al delta tra export e import nei vari paesi. E così il paese X potrebbe essere un modello di libero commercio, ma se gli capita di esportare molte magliette in America senza importare abbastanza Tesla, sarà severamente penalizzato.

Ora, chi produce magliette in Lesotho sono multinazionali del tessile che non andranno certo a produrle in America. Andranno nei paesi che hanno il solo dazio americano minimo del 10 per cento, come Turchia o Sud America, ma le magliette costeranno comunque di più e in Lesotho ci saranno molti disoccupati in più.

Insomma, il mondo dormiva, o faceva finta di dormire sonni profondi, ma ora si sveglia perché c’è il terremoto. Si tratta di un terremoto studiato a tavolino e i cui autori, almeno fino a un certo punto, sanno quello che stanno facendo. Bessent e Miran (il capo dei consiglieri economici di Trump) hanno parlato e scritto molto, già dall’estate scorsa, su come mitigare gli effetti di quello che avrebbero fatto, ma si sono occupati poco dei paesi più deboli.

Gli altri intanto si riorganizzano, inevitabilmente. Si vedono anche cose quasi innaturali, come l’alleanza tattica tra Cina, Giappone e Corea del Sud, paesi che da un secolo si stimano ben poco tra loro, su come rispondere a Trump e su come migliorare il loro interscambio. E c’è chi accarezza l’idea di un Canada nell’Unione Europea. Si tratta però di unioni degli esportatori cui manca sempre un importatore.

Per fortuna, e qui iniziamo con qualche buona notizia, il compratore lo si può inventare, come abbiamo detto, con le misure di autostimolo. E d’altra parte il compratore americano rimane, anche se ha messo i dazi, e non è in recessione. Il disavanzo fiscale americano si ridurrà, ma considerando i tagli di tasse e le spese militari non si ridurrà di molto. La Fed, dal canto suo, tiene in vita solo simbolicamente il Quantitative tightening e si prepara a qualche taglio nei prossimi mesi. Nessuno sa quanti saranno questi tagli, dipenderà dal numero dei disoccupati, a loro volta influenzati dai flussi migratori, dal Doge di Musk e dai giudici che stanno bloccando molte iniziative. Quanto all’inflazione, è ancora tutto da vedere se i dazi la alimenteranno o se invece, rallentando la domanda interna, la conterranno. Quello che conta di più, in ogni caso, è che i tassi a lungo americani dal 5 sono scesi al 4 e sembrano intenzionati a scendere ancora.

C’è poi la possibilità che nei prossimi mesi i dazi vengano rinegoziati e rivisti al ribasso. Questo non sarà gratis, perché richiederà in cambio acquisti di armi americane e di prodotti agricoli geneticamente modificati, impegni a mantenere a riserva Treasuries e rivalutazioni del cambio. Sarà però possibile, a condizione che non ci siano invece ritorsioni commerciali contro l’America.

Come navigare il mare mosso dei prossimi mesi? Liquidità, titoli legati all’inflazione e oro per la parte difensiva. Poi cavalcare la volatilità comprando azionario europeo su debolezza e vendendo America su forza.
Non bisogna farsi molte illusioni su una rapida risoluzione dei problemi sul tavolo. Anche il piano geopolitico è per aria, con la possibilità di un attacco all’Iran e con la Cina che fa esercitazioni sempre più frequenti intorno a Taiwan.

Non bisogna però nemmeno pensare che una recessione sia dietro l’angolo. L’America, verosimilmente, crescerà quest’anno tra l’1 e l’1.5 per cento, l’Europa sarà vicina all’1 e accelererà l’anno prossimo e la Cina cercherà comunque di raggiungere il suo obiettivo del 5 per cento.

C’è stato il terremoto e ci saranno altre scosse, ma almeno adesso siamo tutti svegli.

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