rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

LA CADUTA

Una correzione dai molti volti

Basterebbe guardare da una parte il calendario e dall’altra quello che le borse hanno fatto dall’inizio dell’anno per giustificare la correzione in corso. Una volta era l’autunno la stagione delle correzioni (o anche dei crash), ora si parte un po’ prima e la seconda parte di luglio e agosto sono diventati un periodo scivoloso.

Basterebbe guardare da una parte il calendario e dall’altra quello che le borse hanno fatto dall’inizio dell’anno per giustificare la correzione in corso. Una volta era l’autunno la stagione delle correzioni (o anche dei crash), ora si parte un po’ prima e la seconda parte di luglio e agosto sono diventati un periodo scivoloso.

La ragione è probabilmente nella dimensione degli eccessi accumulati nei primi mesi dell’anno. Nel tempo questi eccessi si sono accentuati e quest’anno il movimento dei titoli legati all’Intelligenza Artificiale è stato paragonabile a quello dei tecnologici nel 1999. Questi movimenti sono poi accompagnati da un utilizzo crescente dei derivati e dal diffondersi dei prodotti che si muovono in tendenza, come i fondi CTA.

Una correzione estiva del 10 per cento (e per ora siamo a metà) è parte della fisiologia del mercato e può avvenire senza bisogno di cause scatenanti. Quest’anno, però, ai fattori tecnici si aggiungono numerose altre ragioni. Queste ragioni, attenzione, non sono dei nuovi elementi negativi che vanno a inquinare il quadro a tinte rosa che il mercato si stava dipingendo. Sono piuttosto fattori di incertezza. Il quadro, insomma, rimane positivo, ma c’è un grado minore di convinzione, ci sono dubbi e c’è confusione.

Un aspetto in queste ore importante, ma di difficile valutazione per il futuro, è la chiusura delle posizioni finanziate in yen. È una questione di cui si discute da molti mesi. Negli anni gli operatori giapponesi, che a casa loro hanno visto rendimenti obbligazionari reali sempre più negativi, hanno preso a convertire (e coprire solo in parte) i loro yen in dollari (per comprare azioni americane, Treasuries e oro) e in euro (soprattutto per comprare titoli governativi francesi). La crescita della borsa americana, gli ottimi rendimenti dei Treasuries e la stabilità (un po’ sopravvalutata) della Francia li hanno indotti a mantenere nel tempo le loro posizioni.

Negli ultimi tempi, in rapida sequenza, abbiamo però avuto le elezioni francesi e, sul fronte del dollaro, l’idea che l’America stia rallentando e che il tanto atteso ciclo di ribasso dei tassi stia davvero per cominciare, riducendo il differenziale di rendimento rispetto ai titoli giapponesi e rendendo via via meno conveniente rimanere sui Treasuries.

Nessuno è in grado di prevedere il comportamento degli investitori giapponesi né quanto tempo occorrerà per la chiusura delle loro posizioni. Quello che sappiamo è che la chiusura è cominciata e sta destabilizzando molti asset finanziari. Sappiamo anche che tra il Tesoro americano e quello giapponese c’è su questo tema uno stretto coordinamento. Un aumento della volatilità sarà però inevitabile.

Negli ultimi giorni, d’altra parte, l’idea del rallentamento americano ha preso a diffondersi e a diventare prevalente. Perfino falchi come Bill Dudley (ex numero tre della Fed) sono diventati colombe e hanno iniziato a promuovere un taglio dei tassi già a partire dal FOMC della settimana prossima.

L’idea del rallentamento (visibile nel manifatturiero, ma non nei servizi, che rappresentano più di due terzi dell’economia americana) nasce dall’aumento del tasso di disoccupazione, dal rallentamento dell’edilizia e da una certa stanchezza dei consumatori. Replicano gli ottimisti che la crescita della disoccupazione, come mostra uno studio della Fed di San Francisco, è l’effetto del continuo arrivo di immigrati e non della riduzione dei posti di lavoro, che continuano a crescere a buon ritmo. Il rallentamento delle costruzioni e delle vendite di case è dal canto suo molto modesto, mentre la stanchezza dei consumatori (che in questo ciclo sono comunque poco indebitati) è più visibile nella non disponibilità ad accettare i continui aumenti di prezzo che il settore del largo consumo cerca di imporre che non in un taglio degli acquisti. Insomma, se il grande marchio diventa sempre più caro (come continua a succedere) si passa a quello a basso costo.

Il Pil americano del secondo trimestre, pubblicato oggi, mostra del resto un’accelerazione, non un rallentamento, e il core Pce al 3.3 nella prima metà del 2024 non è esattamente un dato che giustifichi un taglio urgente dei tassi.

La ragione di questa forza perdurante (e una delle numerose per cui questa forza è molto meno visibile in Europa) è individuata da Nouriel Roubini e Stephen Miran nella politica monetaria condotta surrettiziamente dal Tesoro americano negli ultimi mesi. In uno studio appena pubblicato (Activist Treasury Issuance and the Tug-of-War Over Monetary Policy) si quantifica in 100 punti base l’effetto espansivo della decisione della Yellen di emettere molti titoli a breve e di ridurre l’offerta di titoli lunghi. In pratica, mentre la Fed conduce una politica che, secondo il suo modello, è moderatamente restrittiva, il Tesoro, in vista delle elezioni, ne conduce una espansiva.

Tornando alle ragioni della correzione in corso, è rilevante il nuovo atteggiamento del mercato rispetto al tema dell’Intelligenza Artificiale. Belli i grandiosi investimenti, ci si chiede, ma dove sono i ricavi? Dopo un anno e mezzo di narrazioni sulla rivoluzione che l’IA porterà nelle nostre vite e dopo 350 miliardi di spese (che diventeranno presto un trilione) dove sono i risultati? Nessuno nega che ce ne siano, naturalmente, ma potranno mai ripagare l’enorme sforzo che si sta facendo?

Fortunatamente, le grandi società impegnate nell’IA sono ben diversificate e hanno linee di prodotto, come il Cloud, che continuano a crescere molto in fretta. Quella che sembra profilarsi per i prossimi mesi per loro in borsa è più una lunga pausa che una correzione dolorosa. D’altra parte, il buon andamento dell’economia fa sì che ci siano molti altri settori, meno cari, su cui puntare senza uscire dal mercato.

In conclusione, le cose appaiono oggi più mosse. All’attenzione esclusiva e ossessiva ai Magnifici Sette subentra un atteggiamento più aperto e razionale. La volatilità del mercato non è un segnale di una patologia in atto, ma di una rimessa in discussione delle certezze dei mesi scorsi.

La volatilità potrà essere del resto sfruttata per alleggerire su forza la grande tecnologia e per comprare su debolezza il resto del mercato e l’oro.

Da seguire con attenzione la curva obbligazionaria. Le recessioni, quando ci sono, non cominciano dopo la sua inversione, ma dopo la sua disinversione. Ora siamo in fase di disinversione, ma la politica fiscale espansiva rende improbabile una recessione nell’orizzonte visibile.

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