Dalla Fortezza della solitudine, la sede antartica della rappresentanza permanente del pianeta Krypton sulla Terra, l’ambasciatore redige il suo rapporto annuale sulle vicende terrestri.
Dalla Fortezza della solitudine, la sede antartica della rappresentanza permanente del pianeta Krypton sulla Terra, l’ambasciatore redige il suo rapporto annuale sulle vicende terrestri.
La divisione del pianeta in blocchi, scrive, procede spedita. Le sanzioni americane sulla vendita di semiconduttori alla Cina sono profonde ed estese. Gli effetti negativi saranno presto visibili non solo nell’alta tecnologia, ma in tutto il comparto industriale cinese. Già oggi è fiorente a Shenzhen un mercato secondario di semiconduttori ricavati da elettrodomestici rottamati e da vecchie automobili e rivenduti a prezzi straordinariamente elevati alle industrie. Con le sanzioni la penuria si aggraverà e metterà a rischio la sopravvivenza di molte imprese.
Da parte cinese, prosegue il rapporto, il XX Congresso ha dedicato l’applauso più lungo all’affermazione di Xi Jinping sulla questione taiwanese, che non può più essere passata da una generazione all’altra. È evidente che Xi intende essere ricordato dalla storia come il presidente che l’avrà risolta, così come ha già fatto con Hong Kong.
Il XX Congresso ha anche promosso Wang Huning al quarto posto della gerarchia del potere cinese. Wang è un intellettuale sofisticato che da due decenni è l’eminenza grigia del partito e che in questi anni ha molto ispirato Xi. A differenza di Suslov, il custode dell’ortodossia sovietica, Wang è una figura complessa e tormentata. Ha insegnato in America, apprezzandone i meriti, ma col tempo se ne è progressivamente disamorato fino a vederla come una plutocrazia decadente e instabile. La sua preoccupazione è oggi quella di ricostruire un nucleo duro di valori cinesi alternativi e antagonisti rispetto a quelli occidentali.
In una breve nota allegata al rapporto, l’attaché commerciale raccomanda che gli investimenti finanziari di Krypton sulla Terra, tenuto conto della crescente ostilità tra i blocchi, siano geograficamente diversificati tra America e Cina. Questa è del resto l’unica autentica diversificazione dei prossimi decenni. È visto invece con perplessità il tentativo tedesco di tenere aperta la porta alla Cina fino all’ultimo. Il rischio, per la Germania, è di trovarsi un giorno intrappolata e costretta ad abbandonare la Cina con perdite ben superiori a quelle, già rilevanti, provocate dall’interruzione dei rapporti con la Russia.
Fin qui i kryptoniani. Il loro concetto di diversificazione è impeccabile. Tenere tutto da una parte sola, in un contesto di ostilità crescente tra i blocchi e di incertezza sugli esiti del conflitto, non sarebbe ragionevole. Dopotutto, a parte lo shock di febbraio, gli investimenti finanziari in Russia hanno recuperato una parte rilevante del loro valore.
Vista da un terrestre occidentale, tuttavia, o anche da un cinese, la diversificazione tra blocchi diventa rischiosa nella prospettiva di una chiusura dei rispettivi mercati dei capitali, che arriverebbe molto prima di una chiusura dei rapporti commerciali. Si potrebbe finire con l’avere due portafogli paralleli non comunicanti. A gestirli bene potrebbero crescere entrambi, ma uno dei due non sarebbe spendibile.
Russell Napier, portando all’estremo il ragionamento, sostiene che il valore terminale degli investimenti in Cina per un occidentale è zero. Non è necessariamente così. Si potrà sempre andare a vivere in Cina e spendere laggiù i propri soldi. D’altra parte, si potrà sempre pensare che un giorno tutto si riaprirà e che, se non noi, i nostri figli o nipoti potranno riunificare i due portafogli paralleli.
Si tratta di decisioni da lasciare all’investitore finale. Un gestore o consulente potrà semmai presentare soluzioni di compromesso come quella di vendere metà della posizione sulla Cina e reinvestirla nei paesi asiatici vicini, che sono comunque legati al ciclo economico cinese senza essere a rischio di sanzioni.
Venendo ai nostri mercati, il recupero azionario (e, in misura minore, anche obbligazionario) non è pienamente convincente, ma ha d’altra parte la possibilità di diventare qualcosa di più di un bear market rally e di trasformarsi in un mini bull market. Le due cose possono sembrare in contraddizione e meritano quindi un approfondimento.
A non convincere è la natura in parte preelettorale del rialzo. Il controllo del Senato americano verrà deciso l’8 novembre dagli elettori suburbani di Pennsylvania e Georgia. In queste circoscrizioni la grande maggioranza degli elettori ha un piano 401K che include investimenti azionari.
Per fare rimbalzare un mercato ipervenduto basta poco. È stato in questo caso sufficiente che la democratica Daly (la presidente della Fed di San Francisco), fino a pochi giorni prima fermissima nell’appoggiare la priorità assoluta della lotta all’inflazione, aprisse alla possibilità di rialzi più graduali e ponderati. A distanza di poche ore la Yellen, dal Tesoro, ha parlato dei rischi per la stabilità del sistema finanziario globale, finora sempre esclusi dalle considerazioni di tutti gli esponenti della Fed.
Sono state le prime (e finora uniche) incrinature nel fronte della fermezza antinflazionistica in tutti questi mesi e il mercato le ha ovviamente valorizzate organizzando uno short squeeze che potrebbe ancora continuare.
Il recupero potrebbe essere però anche qualcosa di più, forse molto di più, se volessimo considerarlo come un’anticipazione del rialzo consistente che accompagnerà la pausa, ovvero il momento in cui la Fed dichiarerà di avere terminato il ciclo di rialzo dei tassi e si metterà in una posizione di attesa. Questo momento sarà verosimilmente in febbraio e infatti molte posizioni rialziste di derivati sono state costruite intorno a quel periodo. Nulla però vieta che un mercato impaziente, liquido e ipervenduto voglia anticipare una parte di questo movimento.
In questo nuovo contesto, i dati macro positivi che fino a ieri erano letti negativamente (in quanto rafforzavano la linea della fermezza della Fed) possono oggi essere invece letti con favore. Un’economia in ancora buone condizioni e una Fed che ritira i suoi artigli non si conciliano con una continuazione del ribasso. Aggiungiamo a questo alcune narrazioni che cominciano a girare con una certa frequenza tra gli economisti e nei mercati, come quella per cui la Fed, in caso di inflazione persistente intorno al 4 per cento, potrebbe, invece di mettere in ginocchio l’economia globale, alzare dal 2 al 4 per cento il suo livello-obiettivo. O come quella sintetizzata da Jared Dillian. Ci avevano promesso una recessione, si chiede, ma dov’è?
I rischi, tuttavia, rimangono e sono solo spostati più in là. A questi livelli, e ancora di più quando il recupero sarà proseguito, i mercati non scontano il petrolio che può risalire, il freddo che potrebbe tornare in Europa, le scorte di gas che da aprile in avanti non saranno facili da ricostituire, l’inflazione che potrebbe mettere radici e l’economia americana che dall’inizio dell’anno prossimo riprenderà a rallentare ed entrerà in recessione nella seconda metà del 2023. Tantomeno scontano la possibilità che, dopo la pausa, la Fed si renda conto che potrebbe occorrere un secondo ciclo di rialzi.
In conclusione, in questo quadro fluido e complesso, la sintesi è che per qualche mese non varrà la pena di avere posizioni nette al ribasso. Si potranno invece, con prudenza e in momenti di debolezza, incrementare le posizioni al rialzo. L’orizzonte temporale non dovrà essere però molto lungo e per metà 2023 converrà di nuovo tornare leggeri.
In Kairos da gennaio 2010, è Strategist e autore de “Il Rosso e il Nero”, newsletter finanziaria settimanale di strategia d’investimento.
Ha iniziato la sua carriera come Account Executive presso Merrill Lynch Milano; dal 1987 al 1989 ha lavorato per Gestnord Fondi come Direttore Investimenti e dal 1989 al 1994 per Caboto Group nella ricerca macro, strategica e quantitativa.
Nel 2001 ha ricoperto presso Abaxbank il ruolo di Head of Research and Investment Strategist.
Laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano.