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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

LA PUT

Davvero limitati i rischi? E quanto è l’upside?

Tutti a lodare, anche sinceramente, Paul Volcker appena scomparso. Lui sì che aveva spina dorsale, lui sì che sapeva tenere testa a presidenti, sindacati, lobbisti, banchieri, costruttori, mercati finanziari cupi e disperati e agricoltori dell’Iowa prossimi alla rovina che cingevano d’assedio la sede della Fed con i loro trattori. Lui sì che provocò una prima recessione di sei mesi nel 1980 e poi, non soddisfatto dei risultati, ne provocò subito dopo una seconda ancora più devastante di sedici mesi, coi tassi al 20 per cento e la disoccupazione all’11, un punto di più di quella del 2009. Certo, c’era anche il petrolio che creava dei problemi, ma c’era soprattutto la tempra degli ultimi uomini al potere della generazione che aveva combattuto e vinto la Seconda Guerra Mondiale.

Tutti a lodare, anche sinceramente, Paul Volcker appena scomparso. Lui sì che aveva spina dorsale, lui sì che sapeva tenere testa a presidenti, sindacati, lobbisti, banchieri, costruttori, mercati finanziari cupi e disperati e agricoltori dell’Iowa prossimi alla rovina che cingevano d’assedio la sede della Fed con i loro trattori. Lui sì che provocò una prima recessione di sei mesi nel 1980 e poi, non soddisfatto dei risultati, ne provocò subito dopo una seconda ancora più devastante di sedici mesi, coi tassi al 20 per cento e la disoccupazione all’11, un punto di più di quella del 2009. Certo, c’era anche il petrolio che creava dei problemi, ma c’era soprattutto la tempra degli ultimi uomini al potere della generazione che aveva combattuto e vinto la Seconda Guerra Mondiale.

E tutti, allo stesso tempo, a tirare un sospiro di sollievo e a lodare Powell per la sua ritrovata flessibilità e morbidezza e per avere finalmente capito che presidente, banchieri e mercati andrebbero nel panico se lui dovesse diminuire la dose di zucchero che la Fed somministra quotidianamente sotto forma di tassi reali negativi, di espansione a tappe forzate della base monetaria e, da due mesi, di nazionalizzazione di fatto del mercato interbancario.

Ci ha messo quasi un anno, ma alla fine Powell ha capitolato. C’è ancora molto da fare, rispondeva un anno fa a quest’epoca a chi gli chiedeva quanto andavano alzati i tassi. Farò tutto quello che mi chiederete di fare, dice oggi.

Ed ecco che, dopo le put di Greenspan, Bernanke e Yellen, anche Powell regala al mondo la sua put mentre annulla la call (ovvero il diritto di alzare i tassi) che aveva iniziato a esercitare un anno fa. Fuor di metafora, la Fed assume ufficialmente un assetto asimmetrico. Se le cose andranno bene non alzerà i tassi nemmeno se ci sarà inflazione (che sarà ufficialmente benvenuta). Se le cose non andranno bene non esiterà a tagliare i tassi.

Insomma, le borse e bond potranno continuare a reagire positivamente ai dati positivi, ma non avranno bisogno di reagire negativamente a quelli negativi, perché accanto al dato negativo apparirà immediatamente l’immagine di un taglio dei tassi prossimo venturo.

Questa rete di protezione funzionerà bene nei prossimi sei mesi e permetterà alle borse di reggere l’impatto di eventuali dati mediocri o moderatamente negativi. La cosa è importante, perché la riaccelerazione della crescita globale che i mercati stanno già anticipando potrebbe in realtà richiedere ancora un trimestre, che potremo però attraversare in relativa sicurezza grazie alla put di Powell.

Anche le reti di protezione, tuttavia, hanno i loro limiti. Come abbiamo visto in agosto e poi in ottobre, se i mercati iniziano a vedere negli occhi (o semplicemente a immaginare) una recessione, anche la prospettiva di un ribasso dei tassi o di più Quantitative easing non riesce a impedire un indebolimento dell’azionario. Per i prossimi sei mesi, in ogni caso, di recessione non dovremmo più sentire parlare, soprattutto se l’accordo con la Cina, che Trump dà in queste ore per vicinissimo, verrà davvero raggiunto.

Qual è allora l’upside? Chris Potts, perfidamente, ha notato una contraddizione tra le stime di crescita economica ottimistiche che le grandi case stanno rilasciando per il 2020 e la timidezza con cui i loro strategist prefigurano gli obiettivi di borsa per la fine dell’anno prossimo. Tutti sono infatti schiacciati tra 3300 e 3400 di SP 500, ovvero in quel 6-8 per cento di rialzo che viene previsto dagli analisti top-down invariabilmente ogni dicembre per l’anno successivo (i bottom-up prevedono sempre il 10 a tasso fisso).

Questa timidezza ha, per quanto ci riguarda, tre ragioni.

La prima è che gli utili del 2020 cominceranno a risentire degli aumenti salariali. Non sempre si tratta di aumenti rilevanti per i singoli, ma sempre, o quasi, è presente un aumento del monte salari, dal momento che le imprese continuano ad assumere aggressivamente a fronte di vendite che salgono lentamente. Segnaliamo per inciso che in Germania gli aumenti sono fortissimi, dell’ordine del 5-7 per cento e ben superiori alla crescita della produttività. La Germania continua a opporsi a un aumento degli investimenti pubblici, ma raggiunge finalmente un effetto simile in termini di stimolo attraverso le sue retribuzioni. Aumentandole, la Germania pratica una rivalutazione interna, rendendosi meno competitiva e andando a ridurre, in prospettiva, il surplus delle sue partite correnti (parte dei maggiori consumi si tradurrà infatti in più importazioni).

La seconda ragione di timidezza è che, se i tassi rimarranno stabili (come da ipotesi, anche in caso di crescita dell’economia) i multipli, da manuale, dovranno restare stabili anch’essi. L’espansione dei multipli del 2019 è stata infatti giustificata dai tre ribassi dei tassi decisi dalla Fed.

La terza ragione di timidezza è che la seconda metà del 2020 sarà dominata in misura crescente prima dalle previsioni e poi dal risultato delle presidenziali americane di novembre, a oggi imprevedibili.

È qui (ma a questo punto parliamo del 2021) che rischia di saltare la put di Powell (con la Warren) o che rischia di essere reintrodotta la call (con Trump confermato).

In altre parole, con un amministrazione Warren sarebbe concepibile un SP 500 che se ne torna a 2000, il livello precedente l’elezione di Trump. La Warren (e non solo lei) cancellerebbe infatti i tagli sulle imposte corporate e, con queste, cancellerebbe anche la crescita del 24 per cento degli utili che ne è conseguita. Oltre a questo ci sarebbero una forte e costosa reregulation, un deciso aumento delle retribuzioni minime e una risindacalizzazione del mondo produttivo, il tutto in un clima di dichiarato attacco ai profitti.

Con una seconda amministrazione Trump sarebbe invece concepibile un SP 500 a 4000 nel corso del quadriennio (Eps a 200 con multiplo di 20), anche se a quelle altezze il volo sarebbe turbolento.

Di fronte a un possibile bivio di questa portata il mercato, a partire da metà dell’anno prossimo, si farà via via più prudente e nervoso. C’è ancora tempo, come si vede, e per ora rimaniamo costruttivi.

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