rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

LA STRADA IN SALITA

Davanti all’America spazi stretti e sfide difficili

Il decennio scorso, con la sua crescita frenata dalla priorità di sanare le debolezze emerse dalla crisi del 2008, si è concluso con una forte richiesta ai governi e alle banche centrali di premere sull’acceleratore. L’inflazione, si pensava, non sarebbe stata un problema. Il mondo si era completamente sfebbrato dall’incendio inflazionistico degli anni Settanta e aveva semmai il problema di non cadere in una deflazione strutturale.

Il decennio scorso, con la sua crescita frenata dalla priorità di sanare le debolezze emerse dalla crisi del 2008, si è concluso con una forte richiesta ai governi e alle banche centrali di premere sull’acceleratore. L’inflazione, si pensava, non sarebbe stata un problema. Il mondo si era completamente sfebbrato dall’incendio inflazionistico degli anni Settanta e aveva semmai il problema di non cadere in una deflazione strutturale.

Trump, nel suo primo mandato, aveva tentato di spingere la crescita con deregulation e tagli di imposte, ma aveva incontrato sulla sua strada l’ostacolo di una Fed ostile che aveva alzato i tassi nel 2018 anche se l’inflazione (nonostante i dazi) non stava dando nessun segno di vita.

L’amministrazione Biden, con una Fed non più ostile, ha fatto quello che Trump avrebbe voluto fare, ma con molta maggiore ampiezza. Il Covid le ha fornito la giustificazione, ma la scala del suo intervento espansivo è stata senza precedenti, al punto da risvegliare non un fuocherello inflazionistico, ma un’inflazione complessiva del 25 per cento. La spinta monetaria e fiscale che ha generato l’incendio ha prodotto una crescita molto forte e un surriscaldamento evidente. Per raffreddare il surriscaldamento si è fatto un massiccio ricorso all’immigrazione.

Oggi l’inflazione è scesa, ma il sistema ne conserva la memoria e la psicologia. È come un intossicato in riabilitazione. È apparentemente risanato, ma in caso di ricaduta i suoi tempi di reintossicazione sono molto più brevi rispetto a quelli di un soggetto sano.

Ma non c’è solo questo. Gli elettori, in tutto il mondo, hanno punito i governi che in questi anni hanno prodotto l’inflazione e sono oggi molto diffidenti. Tornare a comprare crescita con l’inflazione non è, politicamente, più possibile.

La Fed, dal canto suo, è tornata dopo le elezioni a mostrarsi preoccupata per l’inflazione e lo stesso hanno fatto i mercati obbligazionari. È significativo che questo stia avvenendo mentre la crescita sta rallentando e passando, nei Nowcast delle Fed regionali, dal 3.5 del terzo trimestre al 2.5 attuale. Ancora più interessante è che né Trump né il suo entourage abbiano finora aperto il fuoco contro la Fed per chiederle tassi più bassi. È lecito pensare che, almeno in questa fase, una Fed che monta di nuovo la guardia contro l’inflazione faccia comodo alla nuova amministrazione.

In queste circostanze è impensabile che la nuova amministrazione si prepari a rimpatriare i milioni di immigrati irregolari lasciati entrare da Biden. Ci si limiterà a qualche gesto simbolico e ci si concentrerà sugli immigrati che hanno commesso reati.

Lo spazio d’azione sarà limitato anche sui dazi. Stephen Miran, che è stato consigliere del Tesoro nella prima amministrazione Trump, suggerisce di annunciare aumenti dei dazi del due per cento al mese (senza limiti di tempo). Questo manterrebbe la forza negoziale senza avere conseguenze visibili sull’inflazione.

Un altro vincolo che la nuova amministrazione incontrerà presto sarà la forza del dollaro, che sarà di ostacolo alla reindustrializzazione. Lighthizer, si dice, sta lavorando all’ipotesi di introdurre restrizioni all’afflusso di capitali dall’estero nel caso il dollaro si apprezzi troppo. L’America, d’altra parte, ha anche bisogno di questi flussi se vuole finanziare il suo disavanzo e se la Fed non si mostra collaborativa con un nuovo Quantitative easing.

Si dovrà anche stare attenti, da parte americana, a non indebolire l’architettura del sistema monetario globale centrato sul dollaro. La Cina, che con un bond ha recentemente raccolto petrodollari sauditi che userà per permettere a paesi emergenti di ripagare i loro debiti in dollari e sostituirli con debiti in renminbi, lavora per minare dall’interno questa architettura. Anche una bolla sulle criptovalute potrebbe avere conseguenze.

La coperta, come si vede, è piuttosto stretta. Non ci sono ragioni per ipotizzare una recessione, ma se si vuole crescere molto senza creare inflazione bisogna davvero agire con aggressività su deregulation, efficienza della pubblica amministrazione e liberalizzazione del mercato dell’energia.

Le borse, in questo contesto, non hanno ragioni nuove di preoccupazione (a parte naturalmente le esogene geopolitiche) ma non hanno nemmeno più da giocare la via facile alla crescita, quella fiscale e monetaria. In particolare, non possono più giocare né sulla reflazione che gonfia utili e ricavi (come nel 2021) né sulla disinflazione che gonfia i multipli (come nel 2023-24).

Da qui in avanti rimane, come nei tempi normali, la via difficile alla crescita, quella dell’efficienza, della produttività e della crescita degli utili. È una via percorribile e vedremo se l’intelligenza artificiale darà davvero un aiuto in questa direzione.

Ed Yardini, un permabull di grande intelligenza ed esperienza, parla di SP 500 a quota 10mila per fine decennio, ma tutto per crescita degli utili e niente per espansione dei multipli.

La via dell’espansione dei multipli, aggiungiamo, appare ancora percorribile fuori dagli Stati Uniti. Quanto agli utili, si dovrà tutti imparare a fare a meno di una parte del mercato di sbocco americano, a commerciare di più tra noi e a stimolare di più le nostre economie.

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