rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

L’UROBORO SINCOPATO

Fine ciclo e inizio ciclo, non in sequenza ma sovrapposti

Il serpente che si morde la coda, l’uroboro, è un simbolo egizio adottato dagli alchimisti per rappresentare il tempo ciclico, il fluire delle stagioni, l’eterno ritorno. È in opposizione al tempo lineale rappresentato dalla freccia.

Il serpente che si morde la coda, l’uroboro, è un simbolo egizio adottato dagli alchimisti per rappresentare il tempo ciclico, il fluire delle stagioni, l’eterno ritorno. È in opposizione al tempo lineale rappresentato dalla freccia.

Il tempo ciclico vive di alternanze e in economia è il susseguirsi di momenti di espansione e di stagnazione o recessione. È ineluttabile questa alternanza? Per alcuni lo è. Hyman Minsky teorizzò l’impossibilità dello stato stabile, ovvero della freccia, per l’effetto della speculazione finanziaria. Goldilocks produce inesorabilmente espansione dei multipli azionari e quindi bolle destinate a scoppiare e a creare recessione.

Altri, sulla scia di Arnold Toynbee che diceva che le civiltà muoiono per suicidio e non per destino, affermano che i cicli di espansione, se correttamente gestiti, non hanno data di scadenza e finiscono solo per errori di policy.

Come che sia, quello in corso negli Stati Uniti è un tentativo di passare da un ciclo maturo a un nuovo ciclo senza transitare per la casella della recessione e nemmeno per quella del soft landing. Di sovrapporre cioè un ciclo sull’altro. Un po’ come i DJ che, sul finale di un brano musicale, gli sovrappongono il successivo e per qualche secondo fanno andare entrambi contemporaneamente.

La ragione è politica e geopolitica. E’ politica perché l’erosione del consenso rende troppo rischiosa anche solo l’ombra una recessione, soprattutto se alla vigilia di una scadenza elettorale. E’ geopolitica perché i fronti di guerra si moltiplicano e rendono sempre più necessari il riarmo e la reindustrializzazione, che a loro volta implicano spesa pubblica e politiche fiscali e monetarie espansive a perdita d’occhio.

Ecco allora che, con un’economia americana che viaggia da sei mesi a una velocità annualizzata del 3 per cento e si prepara a continuare su questo ritmo almeno per altri tre mesi, si decide comunque di tagliare i tassi più aggressivamente di quanto occorra. Lo facciamo per prevenire un rallentamento, si dice, come fosse un’assicurazione. Che è un po’ come ingozzarsi fino a pesare 150 chili perché non si sa mai, un asteroide potrebbe cadere sui campi coltivati e lasciarci senza cibo la prossima stagione.

In realtà non siamo affatto sicuri che il ciclo uscente stia arrivando al capolinea. Lo dicono i recessionisti, basando la loro tesi di fine ciclo imminente su due soli elementi, il mercato del lavoro e le materie prime.

Il mercato del lavoro manda segnali contraddittori e di difficile lettura per effetto dell’immigrazione massiccia, che manda in tilt i modelli econometrici e rende incommensurabili tra loro i dati costruiti sulla sola forza lavoro regolare e quelli che invece includono il lavoro informale. Certo, si nota una minore mobilità del lavoro, ma la popolazione occupata, nel suo complesso, continua a crescere. Come crescono i consumi, senza che questo eroda troppo i risparmi e senza bisogno di ricorrere troppo all’indebitamento.

Quanto alle materie prime, la loro calma non è segno di debolezza della domanda globale, ma dell’abbondanza strutturale dell’offerta (evidente in petrolio e gas naturale), della riconversione dell’economia cinese e della crisi dell’auto europea.

A proposito di Cina, il mercato ha reagito ai nuovi stimoli come aveva reagito a quelli del 2000 e del 2009, ovvero con un riflesso pavloviano. Ha quindi spinto al rialzo il ferro e il rame, pensando alla ripresa delle costruzioni di case quando la Cina cerca in realtà di ridurle per stabilizzarne il prezzo che continua a scendere. Ha poi spinto in alto il lusso europeo quando vengono tagliate drasticamente le retribuzioni nella finanza cinese (che comprerà quindi meno orologi svizzeri e borse firmate) e quando i modesti nuovi sussidi una tantum vengono spediti nelle campagne ai contadini poveri, che li useranno per ripagare i debiti o per beni di prima necessità.

Tutto può ancora succedere, naturalmente, ma è sbagliato, per ora, pensare a un radicale ripensamento della strategia economica cinese, fatta di meno finanza e meno case da una parte e di più industria e alta tecnologia dall’altra.

In generale, in ogni caso, non c’è dubbio che America e Cina, in questo momento, stanno premendo sull’acceleratore. E anche l’Europa, che si divincola tra pulsioni verso una rinnovata austerità e disavanzi pubblici come quello francese che si mantengono comunque molto elevati, si avvia a ritornare a una politica monetaria prima neutrale e poi espansiva.

Per l’azionario e per i crediti questo è, almeno nell’orizzonte dei 12 mesi, il migliore dei mondi possibili, anche perché l’inflazione, inerzialmente continuerà a restare tranquilla ancora per qualche tempo.

Meno favorevole è la prognosi per i bond lunghi, non necessariamente nel senso di una loro possibile discesa di prezzo, ma nel loro minore potenziale di apprezzamento rispetto ai bond brevi.

Resta la geopolitica, naturalmente. È però difficile che l’America acconsenta ad azioni militari che facciano salire il prezzo del petrolio proprio prima delle elezioni. Quanto all’Iran, la minacciata distruzione delle installazioni petrolifere dei paesi vicini lo isolerebbe drammaticamente rispetto al mondo arabo e turchesco.

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