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a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

MITI DEL NOSTRO TEMPO

Le trappole mentali in cui inciampano i mercati

Hans Blumenberg (1920-1996) non è molto conosciuto, ma è stato uno dei più grandi filosofi tedeschi del dopoguerra. Al centro dei suoi studi è il mito.

Hans Blumenberg (1920-1996) non è molto conosciuto, ma è stato uno dei più grandi filosofi tedeschi del dopoguerra. Al centro dei suoi studi è il mito.

I manuali di filosofia iniziano di solito descrivendo il passaggio dal mito al logos come il grande salto che fa nascere l’Occidente e che fa uscire l’umanità dalla sua infanzia e la proietta verso la maturità.

Blumenberg ritiene però che questa narrazione sia essa stessa un mito e che sotto l’uomo tecnologico della modernità rimanga, ineliminabile, l’uomo che si affida al mito per tentare di dare un senso all’esistenza e per fuggire dall’angoscia di un mondo che ha verso di lui una totale indifferenza. Lungi dall’essere superato dalla scienza e dalla tecnica, il mito è in realtà la dimensione centrale del nostro modo di pensare.

Nel loro ambito, anche i mercati finanziari confermano la tesi di Blumenberg fabbricando incessantemente narrazioni che tentano di dare un senso al caos. In questo decennio, che si è aperto all’insegna di una crescente instabilità dopo quarant’anni di relativa calma, i miti dei mercati tornano ad avere, oltre alla funzione di spiegare, quella di consolare.

È consolatoria, in questo contesto, l’idea della mean reversion, il ritorno inevitabile delle variabili alla loro media storica. È un’idea metafisica, una filosofia della storia che ha, alla base, il mito di un mondo che ritrova sempre il suo baricentro.

E così l’inflazione deve essere per forza transitoria. Anche se la Fed ha abbandonato questa idea nel novembre scorso, il mercato l’ha raccolta e continua a coltivarla più o meno consapevolmente. Per parlare come Aristotele, è come se il luogo naturale dell’inflazione fosse lo zero (o il due per cento adottato a tavolino dalle banche centrali). Quarant’anni delle nostre vite sono lì a dimostrarlo, si pensa. Come conseguenza di questo bias, immancabilmente, da 18 mesi, il mercato si posiziona ogni volta per un’inflazione più bassa di quella che viene poi rilevata dalle statistiche.

Dietro questa idea ce n’è un’altra, anch’essa mitologica, per cui le banche centrali sono onniscienti e onnipotenti. Se dicono che l’inflazione è transitoria allora sarà transitoria. Se dicono che verrà riportata rapidamente e a tutti i costi al due percento allora così sarà. Si pensa poco al fatto che le banche centrali hanno perso molta dell’autonomia che era stata loro concessa nella fase storica precedente, che sono al servizio di sovrani sempre più indebitati e hanno quindi un conflitto d’interesse (anche per nobili motivi) sull’inflazione che, dopo tutto, riduce il debito del sovrano e gli permette così di continuare a spendere.

E se anche questo conflitto viene messo da parte e l’intenzione di combattere l’inflazione è sincera, in tempo di guerra nessuna banca centrale è più in grado di controllare tutte le variabili che contano.

Un altro mito dei mercati, anche questo a sfondo consolatorio, è che ciò che è sceso molto e a lungo è sempre pronto a rimbalzare. Lo short squeeze, il rito purificatore che vede i buoni rialzisti che rincorrono con i forconi i cattivi ribassisti e li obbligano a ricoprirsi con gravi perdite, è l’albero a cui ci si aggrappa e che fa però perdere di vista la foresta.

Per giustizia, va detto che anche tra gli orsi è diffuso il pensiero mitico. È tale, in particolare, l’idea metafisica dell’estrapolazione, ovvero la proiezione in un tempo illimitato di una tendenza negativa. Se c’è la guerra, finirà inevitabilmente con l’olocausto nucleare. Se i fondi pensione inglesi hanno comprato a leva e ora si trovano in crisi, allora è segno che tutte le assicurazioni e le istituzioni finanziarie del mondo sono sul punto di esplodere. Se qualche paese emergente è sull’orlo del default (o l’ha già dichiarato) allora tutti i paesi emergenti smetteranno di onorare i loro debiti.

In realtà lo stigma collegato all’uso dell’atomica è tale che nessuno, ancora per molto tempo, la vorrà usare per primo. Quanto alle atomiche tattiche, lo stigma è lo stesso, a fronte di vantaggi militari modestissimi.

Le istituzioni finanziarie, dal canto loro, sono più capitalizzate e meglio controllate di quindici anni fa. Chi ha comunque abusato della leva sarà tendenzialmente salvato, sia con acquisti di titoli sia con accorgimenti contabili.

Quanto ai paesi emergenti, un buon numero di loro (in particolare quelli che producono materie prime) sono addirittura in una posizione migliore rispetto a molti paesi europei. Hanno meno debito, hanno riserve valutarie (che noi non abbiamo) e hanno subito un minore deterioramento delle ragioni di scambio. Lo conferma l’apprezzamento delle loro valute rispetto all’euro in questi mesi.

E l’inflazione? Qui il discorso è complesso. Da una parte abbiamo politiche monetarie restrittive, anche se non così tanto quanto il mercato ritiene che siano. Dall’altra abbiamo governi che hanno ripreso a spendere e che andranno avanti a farlo molto a lungo per il riarmo, per le tecnologie a sfondo militare e per sussidiare il rialzo strutturale del costo dell’energia.

Più in dettaglio, ci sono fattori specifici importanti che rendono faticosa la discesa dell’inflazione. Nel CPI americano gli affitti pesano per il 33 per cento del paniere. Ora è vero che il prezzo delle case ha iniziato a scendere (anche se di poco), ma resta ancora altissimo, mentre il costo dei mutui continua a salire. Ecco allora che cresce continuamente la domanda di case in affitto, che fa ovviamente salire il canone. Un altro fattore decisivo da sorvegliare è la benzina, che ha ripreso a rincarare.

In conclusione, conoscere i limiti dei concetti che usiamo per formulare le ipotesi con cui ci muoviamo nei mercati non è un passo indietro ma un passo avanti se ci libera dagli schemi mentali. Questo significa, ad esempio, che per fare previsioni sull’inflazione è meglio in questa fase partire dal basso e ricavarla pazientemente guardando alla situazione concreta dei singoli componenti del paniere piuttosto che volare troppo alto e affidarsi a idee come la mean reversion. Lo stesso vale per i crediti e le società quotate. Come ha detto ieri David Einhorn, si riduce ogni giorno il numero di quelli che decidono i loro investimenti studiando i bilanci e le prospettive delle società, mentre è sempre più praticata la scorciatoia dell’approccio top-down.

Uno degli aspetti positivi dei grandi cicli di ribasso è la pulizia delle incrostazioni mentali e il ritorno alla lavagna con meno schemi preconcetti. Facciamone tesoro.

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