rosso e nero
a cura di Alessandro Fugnoli, Strategist

TRUMP 2.0

Il pragmatismo con l’aspetto di un uragano

L’America è un impero sovraesteso. Lo erano stati i territori controllati da Alessandro Magno, l’impero romano dal terzo secolo in avanti, gli immensi imperi turco-mongoli del basso Medioevo e l’impero britannico nel Novecento.

L’America è un impero sovraesteso. Lo erano stati i territori controllati da Alessandro Magno, l’impero romano dal terzo secolo in avanti, gli immensi imperi turco-mongoli del basso Medioevo e l’impero britannico nel Novecento.

L’esorbitante privilegio del dollaro, valuta globale di riserva, permette all’America di vivere al di sopra dei suoi mezzi, di sostenere le spese militari che le consentono di controllare i mari e di pagare con pezzi di carta verde quello che il resto del mondo, sempre bisognoso di dollari, è felice di venderle.

Come sostiene Michael Pettis, questo privilegio è in realtà una maledizione. L’America si svuota progressivamente di capacità produttiva. Mantiene un’egemonia in alcuni settori ad altissimo valore aggiunto, ma tutto il resto lo va a produrre all’estero o lo importa. Con il Covid si è accorta di dipendere interamente dalla Cina per le mascherine. Con la guerra in Ucraina si è accorta di non avere la capacità di produrre munizioni sufficienti per un conflitto circoscritto.

In un mondo mercantilista, l’America è l’unico importatore. Se la Germania e la Cina consumano poco per potere investire, produrre ed esportare, l’America, se non vuole o non riesce a svalutare, deve scegliere tra una massiccia disoccupazione creata dalla chiusura progressiva dei suoi settori produttivi non competitivi da una parte e il ricorso all’indebitamento per finanziare la sua domanda e sostenere la sua occupazione dall’altra.

Per mantenere la sua egemonia militare l’America ha però bisogno di un apparato industriale che non produca solo software, ma anche hardware. Deve salvare quello che le è rimasto e cercare di ampliarlo.

Il protezionismo della seconda metà dell’Ottocento si diffuse nel momento in cui si smise di fare le guerre con le baionette e si iniziarono a impiegare i cannoni a lunga gittata, le corazzate e i primi blindati. Tutti cercarono di avere una loro siderurgia e, per farlo, non esitarono a mettere alti dazi protettivi.

I dazi, di per sé, provocano un rafforzamento della valuta del paese che li impone. Lo abbiamo visto durante la prima amministrazione Trump che, inizialmente, ha cercato di indebolire il dollaro, ma ha annullato questo effetto nel momento in cui ha cominciato a introdurre nuovi dazi.

Per questo il Trump di oggi cerca di accompagnare gli alti dazi che intende introdurre con una retorica anti-dollaro forte. Non dice esplicitamente che vuole un dollaro debole, ma afferma energicamente che Cina e Giappone hanno valute scandalosamente basse e vi aggiunge anche l’India. Per ora non nomina l’Europa, ma arriverà anche il suo turno.

Gli investitori devono ora scommettere se l’effetto dei dazi (rialzista sul dollaro) sarà più forte o più debole della pressione che Trump (se verrà eletto) metterà sul resto del mondo affinché rivaluti.

Trump metterà certamente i rapporti di cambio nei negoziati che intende riaprire con tutti. Una volta avviate le trattative sull’Ucraina si dedicherà alla Cina. Farà verosimilmente intravvedere la possibilità di contenere le pulsioni indipendentiste di Taiwan e quella di condividere alla pari con la Cina il controllo di una parte del Pacifico e chiederà in cambio una forte rivalutazione del renminbi e l’apertura di fabbriche cinesi sul suolo americano.

L’Europa non sarà una priorità, ma sarà di nuovo forte la pressione per un aumento delle spese militari, da destinare il più possibile all’acquisto di armi americane. La rivalutazione dell’euro e l’introduzione di dazi (moderati) sui prodotti europei saranno parte della trattativa.

Il filo conduttore delle proposte di Trump è quello di un bagno di realismo. Un’America che fa sempre più fatica a esercitare la sua egemonia globale viene a patti con i suoi avversari (e rinegozia i rapporti con gli alleati) cercando in cambio di far loro pagare il prezzo più alto possibile e, nel frattempo, di reindustrializzarsi a tappe forzate.

Trump lo conosciamo. La sua idea è che per negoziare bene bisogna spaventare le controparti. Spaventare i mercati può essere un effetto collaterale di questa tattica, ma può anche essere un mezzo per ottenere dei risultati. Se si afferma che si è disposti a rinunciare al dollaro come valuta di riserva ci saranno paesi che proveranno a disfarsi dei dollari che hanno e l’indebolimento del dollaro, in una certa misura, avverrà senza bisogno di interventi.

Trump, tuttavia, chiede 10 o 100 per portare a casa molto meno e bisogna dunque stare attenti a non reagire troppo. Nel suo primo mandato mise in discussione la presenza militare americana in Europa, ma finì con il rafforzarla. Mise clamorosamente in discussione il dollaro, ma lasciò la Casa Bianca alla fine del 2020 con euro, renminbi e yen sugli stessi livelli che aveva trovato quattro anni prima.

Molto dipenderà dalla Fed. Nel 2018 si mise di traverso e provocò grande volatilità nei mercati. Questa volta cercherà di nuovo di affermare la sua indipendenza e per mettersi al riparo dalle pressioni adotterà un programma semiautomatico di tagli trimestrali dei tassi. Se però i dazi provocheranno tensioni inflazionistiche, i tagli dei tassi verranno centellinati.

Si profila per chi investe un periodo molto impegnativo. Mancano quattro mesi al voto e quello che appare quasi certo oggi può essere messo di nuovo in discussione. Se Trump conquisterà la Casa Bianca non è scontato che conquisti anche i due rami del Congresso.

L’aumento graduale della volatilità da qui all’anno prossimo è comunque una quasi certezza. Meglio prepararsi con calma e gradualmente, riducendo ordinatamente il profilo di rischio nei portafogli. Si creeranno grandi opportunità, ma per coglierle non bisognerà farsi trovare troppo carichi. Bond non troppo lunghi, azionario diversificato (con un occhio di riguardo per l’industria tradizionale americana) e una certa quantità di oro sono per ora misure sufficienti. Alleggerire l’azionario cinese, giapponese e indiano ma tenere la valuta sottostante.

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