Sulle banche, qualcosa (finalmente) si muove

1 Giugno 2016
A Piazza Affari qualcosa si muove. Nel corso dell’ultimo mese, si è verificato un disallineamento nelle performance relative, sia tra settori, che tra titoli dello stesso comparto. Da un lato, per esempio, le utility sembrano aver perso momentum, mentre l’oil ha recuperato bene. Dall’altro, alcune banche di media dimensione – Ubi, Bper, Monte dei Paschi di Siena – hanno sovraperformato altri titoli del settore, come Unicredit, Intesa, Banco Popolare e Bpm, discesi su punti di minimo inferiori.
 
É un quadro confuso, che richiede un notevole sforzo interpretativo. Il movimento appena descritto, infatti, non riflette né le prospettive legate a possibili aumenti di capitale – non si spiegherebbe altrimenti perché Intesa è tra i nomi più penalizzati – né una preferenza relativa per le banche più solide. Può esprimere, in parte, una chiamata sulle popolari, in vista di un cambiamento statutario, da giocare come tema d’investimento nella seconda parte dell’anno. Oppure, la chiusura di alcune posizioni relative – lunga su Intesa e corta sulle banche più piccole – da parte degli hedge fund, a indicare forse un ridimensionamento delle scommesse sull’Italia. Comunque la si veda, questo dinamismo invita a guardare con maggiore attenzione al settore bancario, da qui in avanti, in vista di un possibile posizionamento.
 
Nel frattempo, i risultati delle trimestrali non hanno messo in evidenza particolari sorprese: i margini d’interesse rimangono sotto pressione, mentre gli indicatori relativi alla qualità del credito sono andati relativamente meglio, secondo le aspettative. Si confermano, però, le difficoltà del contesto macroeconomico, che fatica a trovare un consolidamento della ripresa. Alcuni numeri – per esempio gli indici pmi manifatturieri di aprile, che esprimono la fiducia dei responsabili degli acquisti – sono positivi. Ma un singolo dato non fa tendenza, deve trovare conferma in una serie coerente di indicatori. Per adesso, rimane un segnale di speranza, almeno fino a quando non prenderà forma una ripartenza delle spese per gli investimenti produttivi (capex).
 
Intanto, nel corso dell’ultimo mese, il biglietto verde è tornato a guadagnare terreno rispetto alla moneta unica. Da qui a fine anno, ci saranno almeno uno o forse due interventi al rialzo sui tassi da parte della Federal Reserve americana. É un segnale che gli Stati Uniti procedono verso una pseudo normalizzazione della politica monetaria, mentre l’Europa, guardando al ciclo economico, è in ritardo di almeno 18 o 24 mesi. In ogni caso, il cambio euro dollaro resterà per il momento in una forbice tra 1,10 e 1,20. Non ci sono le condizioni per arrivare alla parità, almeno da qui a fine anno. 
 
A cura di Massimo Trabattoni, Responsabile Azionario Italia di Kairos per la rubrica Italian Times di AdvisorPrivate.

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